Per gli storici la base narrativa su cui vennero costruite l’Iliade e l’Odissea sarebbero stati i racconti degli aedi, i poeti girovaghi che narravano le gesta eroiche dei re Achei. L’origine della civiltà achea (o micenea) viene ricondotta dagli studiosi a quella minoica, che ha nell’isola di Creta il suo fulcro, ma non tutti sono di questo parere, come Stuart Piggott (“Non c’è sangue minoico o asiatico nelle vene delle muse greche…esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greca”). E’ possibile allora che i Micenei fossero provenuti dal nord Europa?
Adriano Romualdi, nel suo “Gli Indoeuropei: origini e migrazioni”, riporta una considerazione di O. Reche, studioso tedesco, secondo il quale «difficilmente i Greci avrebbero adoperato la parola “arcobaleno” (iris) per designare l’iride della pupilla (come i Tedeschi: Regenbogenhaut = iride) se avessero avuto occhi scuri. Solo un popolo con occhi azzurri, o grigi, o verdi può chiamare l’occhio “arcobaleno”».
Gli Dei e gli eroi delle epopee omeriche sono spesso descritti con attributi delle popolazioni nordiche: Achille, modello dell’eroe acheo, è biondo come Sigfrido, biondi sono detti Menelao, Radamante, Briseide, Meleagro, Agamede, Ermione. Elena, per cui si combatte a Troia, è bionda, e bionda è Penelope nell’Odissea. Afrodite è bionda, come pure Demetra. Atena è, per eccellenza, l’ “occhicerulea Atena”. Il termine adoperato è glaukopis, che certo è in relazione anche col simbolismo della civetta, sacra alla dea (glaux = civetta: occhi scintillanti, occhi di civetta), ma che in senso antropomorfico vale “occhicerulea”: Aulo Gellio (Il, 26, 17) spiega glaucum con “grigio-azzurro” e traduce glaukopis con caesia “die Himmelbluaugige“.
Anche gli indizi archeologici citati da Vinci sembrerebbero condurre verso un’origine nordica dei Micenei, come il ritrovamento fatto dal prof. Martin P. Nilsson di grandi quantità di ambra baltica nelle più antiche tombe micenee (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta), o il ritrovamento di un graffito miceneo nel complesso megalitico di Stonehenge, datato attorno all’inizio del II millennio a.C., che attesterebbe la presenza degli Achei nel nord dell’Europa in un’epoca precedente all’inizio della civiltà micenea in Grecia.
Quindi alla luce di queste considerazioni fatte, e con l’ausilio delle descrizioni omeriche e di altri testi dell’antichità classica, Vinci ha ricostruito l’intera toponomastica omerica nella zona del Mar Baltico, procedimento sul quale si impernia tutta la sua opera con risultati molto interessanti. Ad esempio l’Itaca di Ulisse sarebbe da identificarsi con Lyo, una delle tre principali isole di un piccolo arcipelago danese (la altre due sono Langeland, corrispondente a Dulichio, e Aero, la Same omerica), che coinciderebbe perfettamente con le indicazioni del poeta sia per la posizione, sia per le caratteristiche topografiche e morfologiche. Mentre il Peloponneso, a cui Omero si riferisce con “isola di Pelope”, sarebbe da identificare nell’isola danese di Sjaelland e non nella penisola greca. Insomma la ricostruzione dei toponimi effettuata dal Vinci riscontra una forte coerenza e precisione, che è però impossibile sintetizzare in questa sede trattandosi di un’opera di 700 pagine!
Ma perché gli Achei sarebbero emigrati dall’area baltica per giungere nella penisola greca? La causa sarebbe stata l’irrigidimento del clima dell’area baltica, avvenuto intorno alla metà del II millennio, individuato in quest’epoca dalla paleoclimatologia, che avrebbe costretto gli Achei a spingersi verso sud lungo il corso del fiume Dnepr giungendo al Mar Nero e all’Egeo. Qui avrebbero fondato le città micenee, rinominandole con i nomi delle località nordiche, in modo non corrispondente alla collocazione originaria per le differenze geografiche e morfologiche che ci sono tra le due regioni.
Con la migrazione avrebbero inoltre portato con sé i propri tradizionali racconti orali, una saga poetica ambientata nelle località della patria originaria, tra il mar Baltico e il Mare del Nord. La guerra di Troia si sarebbe svolta dunque non intorno al XIII secolo a.C., come normalmente ritenuto, ma intorno al XVIII secolo a.C. Dopo ottocento o novecento anni di trasmissione orale, i poemi sarebbero quindi stati trascritti tra l’VIII e il VII secolo a.C.
Alla luce di quanto è stato riportato si può affermare, senza il timore di commettere un azzardo, che le origini dei poemi omerici non devono essere collocate nell’area mediterranea.
da “Il Mito di Theuth”