La leggenda di Ys, la mitica isola bretone sprofondata nelle acque marine a causa della sua corruzione, ricorda il più famoso mito di Atlantide, l’isola che sprofondò anch’essa in fondo all’oceano chiamato appunto “Atlantico”.
Di questo mito ci racconta il filosofo greco Platone, basandosi su alcuni documenti del sacerdote egiziano Sonchis di Sais, maestro del politico ateniese Solone.
Secondo la leggenda, il nome “Atlantide” sarebbe derivato dal gigante Atlante, signore dell’oceano e figlio di Poseidone. Egli fu il primo governatore dell’isola e colui che, secondo la mitologia classica, reggeva sulle sue spalle il peso del mondo. Si pensa che l’oceano “Atlantico” si chiami così proprio in seguito allo sprofondamento di Atlantide nelle sue acque.
Platone racconta che l’isola si trovava oltre le Colonne d’Ercole, ossia oltre l'odierno stretto di Gibilterra, che nei tempi antichi segnava la fine del mondo conosciuto: «… aveva l’isola Atlantide davanti al passaggio che voi chiamate Colonne d’Ercole».
Atlantide sarebbe, secondo Platone, sprofondata a causa di un terremoto o di un maremoto. Il fatto fu particolarmente eccezionale considerando che, secondo il filosofo, sarebbe avvenuto tutto in una sola notte: «nel volgere di un giorno e di una brutta notte».
Secondo un’altra versione della leggenda, la quale vuole dare un intento moralistico e fiabesco alla vicenda, Atlantide sarebbe sprofondata in mare per punizione divina, ossia per porre freno alla corruzione portata dalle sfrenate ricchezze accumulate dai suoi abitanti. Lo stesso Platone ci rivela che si trattava di un’isola molto fiorente poiché vi facevano scalo molti mercanti: «Serviva come passaggio alle altre isole a quelli che viaggiavano, e da queste parti si poteva raggiungere il continente, sulla riva opposta di questo mare» (per “continente” si intende l’Europa). L’isola era dunque un approdo sicuro per le navi che trasportavano ricchezze. Aggiunge Platone: «… allora per quel mare là si poteva passare».
Platone narra del mito di Atlantide nelle sue opere filosofiche “Timeo” e “Crizia”, ovvero nei dialoghi avvenuti nel 421 a.C. tra Socrate e i due filosofi citati, riportati nelle due opere intorno al 360 a.C.
Nel “Crizia” viene riferito che, secondo la leggenda tramandata dall’antico Egitto, lo sprofondamento dell’isola sarebbe avvenuto 9000 anni prima rispetto all’epoca dei dialoghi narrati. Tuttavia, oggi si è propensi a credere che la parola “anni” sia stata mal tradotta dall’egiziano, e che invece si trattasse di 9000 mesi, cosa che collocherebbe storicamente il fatto nel 1149 a.C. quando l’Egitto, governato dal faraone Ramses III, fu invaso dai popoli del mare.
Alcuni pensano però che quest’isola non sia mai esistita e che la leggenda sia stata inventata dal filosofo greco, e sia quindi uno dei tanti miti di cui si serviva a scopo didattico. Uno dei maggiori critici dell’autenticità della storia fu proprio l’allievo di Platone, Aristotele, a cui si attribuisce la celebre frase: «L’uomo che l’ha sognata (Atlantide), l’ha anche fatta scomparire».
Tuttavia, il mito dell’isola sotto il mare ha affascinato migliaia di scrittori, romanzieri e registi nel corso dei tempi fino ad arrivare ai giorni nostri.
Nel 1685 Johann Christian Bock scrisse il “De Atlantide ad Timaeum atque Critiam Platonis”, dove analizzò tutte le diverse ipotesi sul mito. Nel 1976, Charles Berlitz scrisse invece “Il mistero di Atlantide” (The mystery of Atlantis). Gli scritti più famosi sull’Atlantide sono però sicuramente quelli di Jules Verne, che la citò nel suo romanzo “Ventimila leghe sotto i mari” del 1870 (e in seguito scrisse “L’ isola misteriosa” del 1874).
Probabilmente, Platone si ispirò ad alcune leggende del mondo classico, importate o dal mondo ebraico (il diluvio universale). Nel IV secolo a.C., l’esploratore greco Pitea raccontò il mito dell’isola di Thule (citata anche da Tacito nel “De vita et moribus Iulii Agricolae”), fatta di fuoco e di ghiaccio e collocata lungo le coste della Britannia, altra leggenda che potrebbe aver ispirato il filosofo greco.
Il popolo dei Toltechi e degli Aztechi si diceva proveniente dalla bellissima isola di Aztlàn (nome che ricorda l’Atlantide) anticamente abitata dagli dèi, e la stessa cosa tramandavano gli indiani Dakota del Nord America. Tuttavia, tutti questi popoli avevano dovuto abbandonare la propria terra d’origine in seguito a diversi maremoti che l’avevano cancellata dalla carta geografica. Così afferma il Codex Chimalpopoca della tradizione azteca: «In un sol giorno tutto fu perduto… anche la montagna sparì sotto l’acqua». E il libro sacro dei Maya conferma: «… scomparve ad un tratto durante la notte». Anche queste leggende presentano una forte connessione con l’isola descritta da Platone.
Anche ad Haiti e nelle Antille si crede ad un’inondazione avvenuta in epoca antichissima, che cancellò interi continenti lasciando intatte solo le montagne e le isole.
Nell’Ottocento, dal mito di Atlantide nacque quello dell’isola o continente Lemuria, considerata posta tra l’India e l’Africa prima della deriva dei continenti: la presenza di lemuri in Madagascar e in India, ma non nel continente africano, spinse nel 1864 lo zoologo britannico Philip Sclater a ipotizzare che un tempo il Madagascar facesse parte di un continente andato perduto, a sud di quello indiano. Un’altra isola immaginaria di cui nacque il mito nell’Ottocento fu quella di Mu, nell’Oceano Pacifico, ispirata dagli scritti di Charles Étienne Brasseur de Bourbourg.