5 settembre 2015
Il Popolo del Grande Spirito
Come di
consueto, il 27 gennaio di ogni anno si celebra la “Giornata della Memoria” per
ricordare gli ebrei deportati e uccisi dal regime nazista, mentre altri e ben
più vasti genocidi sono stati rimossi completamente dalla coscienza comune
oppure, ancor peggio, giustificati in vario modo. Per vastità e modalità di
esecuzione, il più noto è senza dubbio quello dei nativi che popolavano
l’America settentrionale e che vengono normalmente chiamati Indiani o Pellerossa.
I motivi per cui tale genocidio sia passato in secondo piano, quando non del
tutto dimenticato, sono molti, ma nessuno assolutamente giustificabile. Il
massacro iniziò praticamente pochi anni dopo la scoperta del continente
americano e si concluse alle soglie della Prima Guerra Mondiale, quindi si
sviluppò lungo un periodo di tempo molto vasto e difficilmente delimitabile. Le
modalità del genocidio sono state molte, dall’eccidio vero e proprio di intere
comunità sterminate sistematicamente con le armi da eserciti regolari o da
soldataglie criminali assoldate alla bisogna per mantenere pulita l’immagine
dei governi ufficiali, alla diffusione intenzionale di malattie endemiche come
il vaiolo. A testimonianza di ciò, vale la pena di riportare le parole del
generale inglese Jeffrey Amherst nell’impartire un ordine al colonnello Bouquet
durante la rivolta di Pontiac nel 1763: “Farete bene a tentare di contaminare gli Indiani mediante coperte in cui
abbiano dormito malati di vaiolo, oppure con qualunque altro mezzo atto a sterminare
questa razza esecrabile…”. Altri metodi di genocidio furono la fame,
bruciando intenzionalmente i frutti della terra, o le deportazioni forzate
attraverso territori enormi per mezzo di estenuanti marce forzate in pessime
condizioni igieniche e climatiche.
Moltissimi
furono poi gli Indiani che perirono nelle guerre tra le varie potenze europee
che occupavano il suolo americano (Spagna, Inghilterra, Francia) e
successivamente durante la guerra d’indipendenza delle colonie americane. In
questi casi, gli Indiani che scelsero di servire dalla parte della causa poi
rivelatasi perdente (e purtroppo la maggioranza fece questa scelta prima con i
francesi e poi con le forze lealiste all’Impero britannico) andarono incontro a
durissime conseguenze. I coloni di origine europea non perdevano nessuna
occasione di provocare gli Indiani, spingendoli a commettere azioni violente,
attirandoli in risse, violando i loro territori di caccia, abbattendo in massa
i bisonti, vendendo loro alcool. I popoli indigeni di queste terre avevano una
lunghissima tradizione guerriera e una psicologia molto semplice, per cui un
torto fatto ad un membro di una tribù equivaleva per loro ad un atto di guerra,
scatenando la reazione indiana verso il “nemico bianco”, e in questi casi
vittime di tale reazione erano anche molti innocenti. Del resto queste reazioni
violente verso i coloni si dimostrarono ben più perniciose verso gli Indiani
che non verso i coloni stessi, i quali venivano aizzati volutamente da pochi
interessati alla vendetta e alla rappresaglia contro i “selvaggi”, rei
di terribili colpe, deumanizzati e dipinti agli occhi dell’opinione comune come
belve feroci da abbattere ad ogni costo. Un altro pretesto che veniva usato
contro gli Indiani era l’accusarli di “insensato
tradizionalismo”, ossia la loro legittima ostilità a sottomettersi ad
usi e costumi che non gli appartenevano e il rivendicare diritti (se di
rivendicazione si può parlare, perché chi da secoli vive in un determinato
territorio ed esercita la sua sovranità su di esso, lo può ben considerare la
propria Patria) su enormi porzioni di territorio, che i coloni non potevano
sfruttare. Evidentemente la violazione della sovranità nazionale degli altri
Paesi e la pretesa superiorità di uno stile di vita rispetto ad altri giudicati
selvaggi e l’intervento violento per imporre quello stile di vita è una
tradizione ben radicata nella cultura statunitense che perdura ancora oggi.
A tutto
questo si aggiungeva poi l’idea che la storia umana è fatta di scontri di
civiltà, e quindi una società più evoluta e più potente ha il legittimo diritto
di sottomettere con ogni mezzo, civiltà e culture più deboli e arretrate:
quindi gli Indiani, ritenuti inferiori e refrattari alla modernizzazione
anglosassone, non avevano alcun diritto ad ostacolare lo sviluppo del futuro
stato americano. Ironia della sorte, gli Stati Uniti sono quelli che si
ergeranno a giudici durante il "Processo di Norimberga"...
Altro
aspetto che pesa sulla vicenda del genocidio
è che gli Indiani, contrariamente ad altri casi similari, non si sono affatto
rassegnati più o meno passivamente allo sterminio, ma hanno reagito con
coraggio, affrontando la violenza dei colonizzatori con continui tentativi di
liberazione, sfruttando al meglio le loro antiche abilità guerriere, compensando
con l’astuzia e l’abilità l’enorme divario di forze in campo, riuscendo in più
occasioni a sconfiggere i loro avversari.
Come
purtroppo spesso accade, chi reagisce ad una violenza allo stesso modo è
vittima del diffuso ed ipocrita pensiero pacifista, quindi spesso si sentono
discorsi insensati nei quali gli Indiani assumono il ruolo dei “cattivi”, dei
guerrieri sanguinari, quindi la reazione dei colonialisti viene tutto sommato
giudicata legittima perché difensiva e questo getta ulteriore polvere sulla
vicenda rendendo difficile un giudizio obiettivo. La stessa cosa avviene quando
si considera il lungo conflitto israelo-palestinese, dove le forze di
resistenza vengono accusate di terrorismo, come se questo bastasse a fare
passare in secondo piano l’aggressione e la violenta e progressiva privazione
di territorio di cui la popolazione palestinese è vittima. Dopo aver
tratteggiato questo quadro, legato per lo più alla visione della società di
allora, va quindi analizzato il perché questo avvenimento così tragico sia
tuttora molto poco trattato dalle presunti “menti aperte” della civiltà
odierna. Se consideriamo i sopravvissuti al plurisecolare massacro, vediamo che
essi si attestano su circa 800.000 individui, di cui solo la metà di genetica a
prevalenza indiana, e che costoro coprono la fascia più povera della
popolazione statunitense. Basti pensare che il reddito medio settimanale di una
famiglia indiana negli USA è di 30 dollari (contro una media nazionale di 130);
che hanno una speranza di vita di 42 anni (contro i 67 della media nazionale);
una mortalità infantile e un tasso si suicidi tra gli adolescenti
rispettivamente di 5 e 10 volte superiore alla media nazionale; che i 45% degli
abitanti delle riserve è disoccupato e il 42% di essi è analfabeta. Va poi
sottolineato che i territori delle riserve sono ricchissimi di materie prime: l’80%
dell’uranio, il 40% del petrolio e il 75% del carbone, estratti negli USA,
provengono dalle riserve, ma lo sfruttamento di tali risorse è appannaggio di
una ventina di grandi compagnie che se ne dividono i profitti, mentre agli
Indiani non spettano che ridottissime provvigioni. Per coloro che cercano una
via di fuga dalle riserve, la situazione non migliora di certo: dispersi in
tristi realtà di degrado urbano, a cui ben pochi offrono un lavoro stabile,
emarginati e disprezzati, i discendenti delle antiche tribù indiane diventano
facili prede della droga, dell’alcolismo e della malavita. E’ logico quindi che
a ben pochi importa della loro sorte o dei soprusi subiti in secoli di
aggressione coloniale e di certo sono ben pochi tra di loro quelli che possono
usufruire dei mezzi di comunicazione di massa per far conoscere a quante più
persone i gravissimi torti subiti. Del resto, gli Stati Uniti, in questa fase
storica di progressivo appannamento della loro immagine a livello
internazionale, hanno ben poco interesse a farsi ulteriore cattiva pubblicità,
mostrando una delle più sanguinose basi su cui è stata costruita la loro
attuale potenza. Ad ogni modo, resta stridente il contrasto con quanto
accaduto alla comunità ebraica, i cui appartenenti oggi, in buona parte,
ricoprono cariche istituzionali importanti in molti organismi politici ed
economici a livello nazionale ed internazionale, sono proprietari di banche,
imprese multinazionali, radio, giornali e televisioni, oltre all’acquisizione
di parecchie simpatie negli ambienti più disparati. Se poi si paragona il
territorio-simbolo della comunità ebraica internazionale, ossia lo Stato di
Israele, potenza regionale militare ed economica, con le poverissime e
dimenticate riserve indiane, il quadro è completo. Ma ricordare il genocidio degli Indiani non appare utile: non rende, non rafforza l’immagine
delle potenze imperialiste, non genera profitti.