12 marzo 2017
Il faraone eretico Akhenaton, Mosè e la “vera storia” dell’esodo biblico
di Roberto Cozzolino
Esiste un particolare
momento della mitologia ebraica, noto come “esodo”, che, secondo la versione
biblica, farebbe riferimento alla fuga delle popolazioni ebraiche dall’Egitto
dei faraoni, alla ricerca, sotto la guida di Mosè, della “terra promessa”, ad
essi garantita in virtù di un “patto” stipulato con il loro dio.
Si
tratta di una storia puramente ipotetica, mancando in parte di oggettivi
riscontri storicamente documentati, ma comunque decisamente verosimile – ed in ogni caso più
verosimile della maggior parte dei racconti biblici ed evangelici, ai quali una
quantità enorme di individui presta fede, pur in totale assenza di qualsiasi
verifica storica, quando non addirittura in aperta contraddizione con la storia
stessa.
Per motivi di spazio ci
limiteremo ad enunciare alcuni fatti fondamentali.
Intorno
al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle o
eretico”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in
tutto l’Egitto,
forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III e fonda una
nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo. Il popolo resta però in maggioranza fedele
agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton, saranno
solo una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze
tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle
tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto
dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.
Dopo
circa diciassette anni di governo, tuttavia, Akhenaton scompare nel nulla e la
restaurazione politeista si accanisce contro di lui, con una accurata damnatio
memoriae: quasi tutti i segni visibili
del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono così distrutti
e la stessa città di Amarna rasa al suolo.
Secondo
recenti ipotesi, un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano,
costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto, per stabilirsi
presumibilmente in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste
una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento
al divieto di abbandonare le terre dell’esilio.
L’identificazione
del faraone ribelle ed esiliato Akhenaton col Mosè biblico dell’esodo ebraico,
appare estremamente logica. Sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche,
circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè
sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque
ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del
sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che “non deve”
essere divulgata.
Facciamo
ora un salto in avanti di più di tremila anni: Egitto 1923, apertura ufficiale
della tomba di Tutankhamen. Contravvenendo – come del resto era la regola a quei tempi – alla più
elementari regole deontologiche, gli scopritori del sito archeologico, Lord Carnarvon e Howard Carter, avevano,
circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, già violato in segreto la tomba,
trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili che
avrebbero arricchito il mercato clandestino delle antichità egizie, nonché,
supponiamo, i loro personali patrimoni.
Ad un primo sommario
inventario, tra gli oggetti
“ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri;
di essi si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad
amici e colleghi; ma poco tempo dopo i
suddetti papiri risultano inesistenti, cancellati dai successivi
inventari. Interrogato in proposito, Carter
dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino
presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.
Tale
versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti – Carter, in
particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera – ma nessuno solleva
obiezioni. Accade però che in un
secondo momento, a seguito di vicende che non ci dilunghiamo a narrare, le autorità egiziane prospettino la
possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi.
Questi
allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli
fosse stata rinnovata la concessione, di
svelare al mondo intero il contenuto dei papiri… fornendo, cioè, il vero
resoconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Tale episodio è riportato
da Lee Keedick (memorie, 1924 circa) con tale dovizia di particolari, da far ritenere
improbabile che si tratti di una circostanza inventata, né risulterebbe
intelligibile il motivo di una eventuale fantasiosa invenzione.
E’ pertanto perfettamente
lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti
indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i
papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci
verso la Palestina.
Ricordando
che era solo di pochi anni prima, la famigerata ‘Dichiarazione Balfour’ (ovvero
il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla
spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta
dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild –
principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del
movimento sionista – con la quale il
governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un
focolare ebraico in Palestina),si
comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti
fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una
presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei
propri presunti avi –avrebbe avuto
nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando
definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe
forzate e con tutti i mezzi disponibili, non escluso il terrorismo, la
colonizzazione della Palestina.
La
divulgazione di tale materiale avrebbe, inoltre, fornito argomentazioni
irrefutabili agli arabi, che in quegli anni manifestavano a Gerusalemme e
altrove, contro l’appoggio britannico alla creazione di uno stato ebraico in
Palestina.
Per inciso, vogliamo qui
puntualizzare che, quand’anche fosse provata la omogeneità razziale delle
popolazioni di religione ebraica (pur sembrandoci inverosimile far discendere
dal medesimo ceppo razziale un askenazita ed un falashà) o fosse provata la
presenza dominante in Palestina, tre millenni fa, dei progenitori degli attuali
ebrei, questo non sarebbe sufficiente a rivendicare alcunché. Inoltre, ci hanno
sempre ripetuto che uno stato fondato sulla razza costituisce il Male Assoluto…
ma forse l’entità sionista fa eccezione a tale regola generale.
Esistono,
inoltre, altre notizie interessanti a completare il quadro: lady Almina, moglie
di Lord Carnarvon, era la figlia di Alfred de Rothschild, finanziere e parente
stretto di Edmond de Rothschild, il banchiere ebreo promotore del primo
congresso sionista a Basilea del 1897. E’ presumibile, quindi, che questi sia
stato tempestivamente informato del contenuto dei papiri ed abbia effettuato le
opportune contromosse per impedirne la divulgazione.
Nei
dieci anni successivi alla scoperta della tomba di Tutankhamen, infatti, circa
una quindicina di personaggi che avevano avuto qualche ruolo nei lavori di
scavo e nella documentazione dei materiali rinvenuti, o semplicemente di questi
erano amici o parenti, perirono in circostanze a dir poco misteriose:
improbabili suicidi, strane malattie dai sintomi inspiegabili, anomali arresti
cardiaci ecc.
Inoltre,
la stampa dell’epoca accolse, amplificandola a dovere, la leggenda passata alla
storia come “la maledizione del faraone”, e nessuno
avanzò l’ipotesi che potesse semplicemente trattarsi di testimoni pericolosi,
scomodi, cui doveva essere drasticamente impedito di raccontare ciò che forse
sapevano.
Del
resto, la pratica degli “omicidi mirati” per l’eliminazione di chiunque
ostacoli l’entità sionista, non era ancora nota a tutti o da quasi tutti
passivamente accettata.