di Renato Mambretti
16 marzo 2013
Un Grande di tutti i tempi: Baldovino IV
Un grande eroe sul trono della
Gerusalemme crociata,
“piagato” nel corpo, forte nella fede.
Era un male terribile, la lebbra. Chi
ne era colpito doveva indossare mantelli gialli e verdi e attaccare alle
proprie vesti un campanello. Veniva isolato e respinto, perché nel corpo
piagato si credeva di riconoscere Un tremendo castigo di Dio. Anche Baldovino
IV, salito al trono di Gerusalemme nell’anno 1174, era lebbroso. A scoprirlo
era stato il suo maestro Guglielmo, arcivescovo di Tiro, quando, osservandolo giocare
con i suoi compagni, si era accorto della sua anomala resistenza al dolore. Lo
descrive allora con amara consapevolezza: giovane, bello, dotato di solida
memoria e prontezza di spirito, ma irrimediabilmente sventurato. Baldovino è
soprattutto un cavaliere, educato per condurre azioni di guerra; in più lo
illumina una fede sincera. Costretto a succedere al padre Amalrico a soli
tredici anni e gia ammalato di lebbra, si mostra consapevole del proprio
difficile ruolo e della situazione delicata in cui versa il regno crociato di
Gerusalemme. La progressiva unione della Siria e dell’Egitto sotto l’unica
autorità del Saladino lo obbliga subito a scelte difficili e rischiose. Sin dal
1175 il giovane re impegna con il suo formidabile antagonista un confronto serrato.
Autore di fortunate scorrerie verso Damasco, nel 1176 avanza veloce sino ad
Aleppo, in pieno territorio siriaco. Poi si ritira nelle città della costa e
medita, con lungimiranza politica, di colpire direttamente l’Egitto grazie a
un’alleanza con Bisanzio, che non si realizzerà per la morte precoce
dell’imperatore Manuele Comneno. L’anno successivo fronteggia tempestivamente
le agguerrite schiere nemiche e a Montgisard, dopo aver chiesto il soccorso
delle disciplinate forze Templari, si lancia con le poche truppe a sua
disposizione contro i reparti musulmani, issando come stendardo la reliquia
della Vera Croce. Infligge al Saladino una durissima sconfitta. Quindi per
arginare il continuo pericolo di invasioni, si dedica alla costruzione di
castelli sulla frontiera con la Siria. Come i grandi condottieri del suo tempo
e come prevedeva il costume di guerra, sapeva essere spietato: a Montgisard fa
giustiziare i nemici sbandati sul campo di battaglia. È tuttavia capace di
gesti generosi, come quando libera 160 prigionieri arabi, dopo averli
completamente rivestiti. Sul suo regno incombono pericoli esterni e si palesano
— ben più gravi — debolezze interne. Baldovino deve districarsi tra le mire
delle diverse fazioni, contenendo l’irruenza bellicosa e dissennata di Rinaldo
di Châtillon, signore di Kerak, e quindi le manovre dinastiche dell’inetto
cognato Guido di Lusignano, cui opporrà nel 1180 il giovanissimo nipote
Baldovino V.
La lebbra intanto prosegue
inarrestabile il suo corso, ma ancora nel 1183, quasi cieco e immobilizzato
negli arti superiori, partecipa, trasportato in lettiga, alla liberazione del
castello di Moab. La vittoria è siglata da un ingresso trionfale nella fortezza
recuperata. Poi per il re lebbroso comincia la lunga agonia. Muore il 16 marzo
1185 e viene sepolto nella chiesa del Santo Sepolcro. Con lui si spengono molte
speranze di sopravvivenza per il regno di Gerusalemme.
di Renato Mambretti
di Renato Mambretti
(da "Il Timone" n. 52, aprile 2006)