19 dicembre 2017
18 novembre 2017
Guénon e la tradizione cattolica
di Alfredo Cattabiani
Di René Guénon si è spesso discusso perché la sua storia
religiosa, che si concluse con la conversione all’Islam, è significativa ancora
adesso rispecchiando la crisi spirituale che attraversa il mondo occidentale.
Adelphi ha ripubblicato L’esoterismo di Dante,
già uscito nel 1978 da Atanor; la Fondazione Julius Evola ha a sua volta
stampato in uno dei “Quaderni di testi evoliani” (n.19) gli scritti del
filosofo italiano sullo scrittore francese mentre all’Accademia di Romania si è
svolto un convegno su “Esoterismo e religione nel pensiero di René Guénon“.
L’esoterismo di Dante è uno dei testi che Guénon dedicò al
cattolicesimo; si rammenteranno anche un saggio su San Bernardo e
quello sul Simbolismo della Croce. Era convinto che soltanto
radicandosi in una tradizione religiosa si potesse accedere alla conoscenza di
quella verità universale che chiamava Tradizione: “Tradizione che è dappertutto
la stessa, nonostante le forme diverse che riveste per adattarsi a ogni razza e
a ogni epoca”. Si potrebbe obiettare perché avesse abbandonato la sua religione, il cattolicesimo. Probabilmente perché era
attratto dall’Islam, che nulla concedeva alle filosofie razionaliste e
materialiste occidentali, e anche dal sufismo, al quale fu iniziato fin dal
1912.
In questa luce vanno lette le sue considerazioni sull’esoterismo di
Dante giustificate dai celebri versi: “O voi che avete gl’intelletti sani, mirate
la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani” (Inferno IX, 61-63). Guénon vi proietta le sue idee
sull’opera dantesca la quale d’altronde suscita ancora oggi tante riflessioni
per il suo legame con l’associazione della “Fede santa”, di cui il poeta
fiorentino pare sia stato uno dei capi, con l’ermetismo e persino con la
tradizione islamica, testimoniato dalle analogie fra il suo “viaggio” da Inferno e Paradiso e quello
che si ritrova nel Kitâb el-isrà (Libro del viaggio
notturno che fece Maometto) e le Fûtûhât el-Mekkihah (Rivelazioni
della Mecca) di Mohyiddin ibn Arabi, opere pubblicate 80 anni prima della Commedia.
In ogni modo i saggi di Guénon sono sempre stimolanti a patto che vi si
distinguano gli aspetti positivi da quelli inaccettabili da un cattolico, come
sottolineava all’indomani della sua morte il gesuita Jean Daniélou il quale gli
riconosceva alcuni meriti, come la critica degli errori delle culture
materialiste e immanentiste, lo smascheramento dello pseudo spiritualismo delle
dottrine occultistiche, il ristabilimento della corretta interpretazione delle religioni orientali e infine la rivalutazione del simbolismo tradizionale. Ma gli rimproverava di avere
misconosciuto la verità assoluta del cristianesimo: “Vi sono elementi che non
possedeva la tradizione precedente, una promozione spirituale. Questa
promozione corrisponde al passaggio dalla conoscenza di Dio grazie al mondo
visibile alla rivelazione della sua vita intima in Gesù Cristo”.
Guénon infatti confondeva la religione cosmica, che ogni tradizione ha ricavato dal mondo visibile, con quella che chiamava Tradizione, o trasmissione integrale delle verità metafisiche, svalutando così la Rivelazione di Cristo.
Un’altra critica a Guénon riguarda uno dei punti più deboli del suo pensiero. In Les nouvelles littéraires del 18 gennaio 1951, Louis Pauwels ricordava l’influenza su molti giovani attratti dal suo “profetismo dell’apocalisse”, ispirato alla dottrina dell’eterno ritorno e delle quattro età, secondo la quale la nostra concluderebbe in senso discendente un ciclo; ma soggiungeva che quel profetismo non offriva le chiavi per una partecipazione al mondo presente, anzi era paralizzante: “Per me, come d’altronde per molti giovani del mio ambiente, di là dalla conoscenza proposta dal filosofo del Cairo, vi è la scoperta di un obbligo complementare, che è l’obbligo dell’amore. Esso rende possibile la partecipazione al mondo e la comunicazione con gli esseri che solo il mistero dell’amore, chiuso a Guénon, ci restituisce”.
Guénon infatti confondeva la religione cosmica, che ogni tradizione ha ricavato dal mondo visibile, con quella che chiamava Tradizione, o trasmissione integrale delle verità metafisiche, svalutando così la Rivelazione di Cristo.
Un’altra critica a Guénon riguarda uno dei punti più deboli del suo pensiero. In Les nouvelles littéraires del 18 gennaio 1951, Louis Pauwels ricordava l’influenza su molti giovani attratti dal suo “profetismo dell’apocalisse”, ispirato alla dottrina dell’eterno ritorno e delle quattro età, secondo la quale la nostra concluderebbe in senso discendente un ciclo; ma soggiungeva che quel profetismo non offriva le chiavi per una partecipazione al mondo presente, anzi era paralizzante: “Per me, come d’altronde per molti giovani del mio ambiente, di là dalla conoscenza proposta dal filosofo del Cairo, vi è la scoperta di un obbligo complementare, che è l’obbligo dell’amore. Esso rende possibile la partecipazione al mondo e la comunicazione con gli esseri che solo il mistero dell’amore, chiuso a Guénon, ci restituisce”.
1 ottobre 2017
Il simbolismo del polpo
di Mariangela Puglisi
Sui documenti monetali il polpo come tipo principale e anche
come simbolo ha una diffusione limitata. L’interpretazione del polpo in senso
naturalistico, evocatrice dell’ambiente marino, quasi metonimico del mare, non
sembra essere l’unica possibile, né la più pregnante. La sua presenza infatti
può assumere altri significati in associazione con altri elementi figurativi
sulle monete, all’interno di un più ampio linguaggio simbolico quale era quello
del panorama iconografico greco. La frequenza di questo motivo nella civiltà
minoica è stata spiegata semplicisticamente come un motivo decorativo evocativo
dell’abbondanza che viene dal mare.
Alla luce della sua permanenza in ambito miceneo in contesti funerari e spesso ormai privo di connotazioni naturalistiche, e in ambiente arcaico-classico sulle monete dove appare sempre in connessione con divinità, figure mitiche o altri elementi riconducibili ad ambito religioso, si è indotti a ricercare un significato più profondo.
Alla luce della sua permanenza in ambito miceneo in contesti funerari e spesso ormai privo di connotazioni naturalistiche, e in ambiente arcaico-classico sulle monete dove appare sempre in connessione con divinità, figure mitiche o altri elementi riconducibili ad ambito religioso, si è indotti a ricercare un significato più profondo.
La sua valenza positiva, che è stata probabilmente la ragione
della scelta della sua rappresentazione su tanti documenti figurativi antichi
come emblema della capacità umana di superare le avversità e di
“accompagnatore” nel viaggio ultraterreno, sembra però essersi, se non perduta,
quanto meno affievolita nel tempo, tanto che esso viene sempre meno utilizzato
- anche in ceramografia - come un relitto di una cultura più antica,
esplicitata da diverse fonti letterarie che associano all’animale la mhvtiı, l’astuzia, la saggezza, tanto
che esso può apparire un “aggettivo” qualificativo dei contesti in cui compare.
Il suo abbinamento con Poseidon, con l’eroe fondatore Taras, con Scilla, con il
Gorgoneion, con la ninfa eponima Arethusa, figure che appartengono ad un
sostrato molto antico, potrebbe giustificarsi in questa prospettiva e
richiamare l’idea del viaggio, del passaggio, delle trasformazioni che ricorrono
nell’esistenza umana.
Significativo è che si ritrova, qualora venga utilizzato
quale tipo principale, più spesso sul rovescio della moneta, quindi in
subordine al tipo di diritto, del quale sembra essere il completamento,
riferibile a personaggi e soggetti diversi (Poseidon, Athena, il tripode
apollineo, la conchiglia), diventandone l’elemento connotativo.
Queste relazioni sicuramente lo connotano in senso
favorevole, come in senso positivo lo intendono diverse fonti letterarie che
sembrano rifarsi ad una realtà più arcaica, di derivazione omerica, dal momento
che nell’immaginario greco è accostato ad Odisseo, l’uomo saggio e astuto per
eccellenza, l’uomo che sa districarsi grazie alla sua intelligenza e alla sua
“polimorfia”.
2 settembre 2017
Un Papa veramente Santo: San Pio X
PIO X P. M.
Riese (Treviso), 2 giugno
1835 - Roma, 21 agosto 1914
Giuseppe Sarto nacque a
Riese, nella diocesi di Treviso, il 2 giugno 1835. Dopo l’ordinazione
sacerdotale fu inviato come cappellano nella parrocchia di Tombolo, dove rimase
per nove anni; per altri otto svolse il ministero di parroco a Salzano, e
successivamente fu nominato canonico e cancelliere della curia vescovile. Nel
1884 venne eletto vescovo di Mantova. Con la sua intensa azione pastorale
anticipò alcune delle linee che avrebbe adottato in seguito come pastore della
Chiesa universale: promosse la vita del seminario, la pratica dei sacramenti,
il canto liturgico e l’insegnamento del catechismo. Nel 1888 convocò il Sinodo
diocesano. Il 5 giugno 1892 fu chiamato alla sede patriarcale di Venezia e il 4
agosto 1903 fu eletto alla cattedra di Pietro, assumendo il nome di Pio X.
E’ il pontefice che nel
Motu proprio “Tra le sollecitudini” (1903) affermò che la partecipazione ai
santi misteri è la fonte prima e indispensabile della vita cristiana. Difese
con forza l’integrità della fede cattolica, propose e incoraggiò la comunione
eucaristica anche dei fanciulli, avviò la riforma della legislazione
ecclesiastica, si occupò positivamente della questione romana e dell’Azione
Cattolica, curò la formazione dei sacerdoti, fece elaborare un nuovo
catechismo, favorì il movimento biblico, promosse la riforma liturgica e il
canto sacro. Morì il 21 agosto 1914. Pio XII lo beatificò nel 1951 e lo
canonizzò nel 1954.
29 giugno 2017
Mons. Lefebvre: Il dramma dell’ecumenismo
Miei carissimi amici, miei carissimi
fratelli,
Noi sappiamo tutti che attualmente
siamo di fronte ad una situazione della Chiesa sempre più inquietante. Non è da
oggi che si pone il problema, ma dal Concilio, specialmente dall’applicazione
delle riforme conciliari. Assistiamo ad una specie di "escalation" dell’ecumenismo
da parte del Papa e dei vescovi. Ciò non fa mistero e si è visto e
risaputo in tutto il mondo e la televisione e tutti i mezzi di comunicazione
sociale testimoniano questo ecumenismo oggi praticato dalle autorità della
Chiesa. Questo ecumenismo pone a ciascuno, ne sono certo, un grave
problema di coscienza. Noi, vogliamo ed abbiamo deciso di rimanere
cattolici e non credo che abbiamo intenzione di cambiare. Il
cattolicesimo per noi significa conservare la Fede, i Sacramenti, il Santo
Sacrificio della Messa, il catechismo, tutto ciò che la Chiesa ha insegnato e
lasciato come eredità preziosa per diciannove secoli a generazioni e
generazioni di cattolici. Noi stessi nell’infanzia, nella nostra
gioventù, nella nostra adolescenza e nella maturità abbiamo ricevuto questa
preziosa eredità che ci è cara come la luce degli occhi. Questa Fede e tutti i
mezzi per conservarla che ci sono stati lasciati per mantenere in noi la grazia
sono necessari e assolutamente indispensabili per salvare le nostre anime ed andare
in Paradiso. Non è per un’altra ragione che vogliamo restare cattolici:
è per salvare le nostre anime. Giovedì ho detto che abbiamo l’impressione
di allontanarci sempre più da quelli che praticano questo ecumenismo insensato
e contrario alla Fede cattolica. Ma dovrei dire piuttosto che restando
cattolici e decidendo di restarlo fino alla fine dei nostri giorni, sono loro
che noi vediamo allontanarsi da noi perché vogliamo restare cattolici. Si
allontanano sempre più dal primo precetto di un battezzato che è di professare
la sua Fede cattolica. Non è per niente che i nostri padrino e madrina
hanno pronunciato il Credo il giorno del nostro battesimo e
che poi, quando abbiamo ricevuto la Cresima, noi stessi abbiamo ripetuto
quel Credo che ci lega definitivamente alla Fede cattolica.
Ora, dei fatti sconvolgenti si sono
accumulati soprattutto a partire dai viaggi del Papa in Marocco, nel Togo,
nelle Indie e i comunicati che la Santa Sede ha pubblicato ufficialmente questi
ultimi giorni affermano che il Papa ha intenzione di recarsi dagli Ebrei, per
pregare con loro, che il Papa si recherà a Taizé per pregare con i protestanti
e che vuole fare, e lo ha detto egli stesso pubblicamente a San Paolo fuori le
Mura, una cerimonia che riunisca tutte le religioni del mondo per pregare con
loro ad Assisi, per
la pace, in occasione della Giornata della pace, che si svolgerà il 24 ottobre,
nel contesto dell’Anno della pace proclamato dall’O.N.U.
Lo avete letto nei giornali e quelli
che hanno la televisione lo hanno potuto vedere e sentire essi stessi.
Che ne pensiamo? Qual è la reazione
della nostra Fede cattolica? E’ questo che conta. Non è il nostro sentimento personale,
una specie d’impressione di constatazione qualunque. Si tratta di sapere cosa
ne pensa la Chiesa cattolica, secondo ciò che ci è stato insegnato, quali sono
le reazioni della nostra fede davanti a tali fatti? Per questo vi citerò alcune
brevissime frasi che ho raccolto nel trattato di Diritto Canonico del
canonico Naz. Il Diritto Canonico emanato su ordine del santo Papa Pio X e
pubblicato da Benedetto XV, è l’espressione della legge della Chiesa e che
le è stata propria per diciannove secoli.
Partecipazione ad un culto non
cattolico
Che dicono questi testi a proposito
di quella che è detta communicatio in sacris, cioè la
partecipazione ad un culto non cattolico o presso i non cattolici?
Credo che sia proprio il nostro caso
quando il Papa e dei vescovi si dedicano alla partecipazione a culti non
cattolici. Cosa dice la Chiesa della communicatio in sacris? Essa è
vietata con i non cattolici dal Diritto Canonico 1258, § 1, che dice: “Ai
fedeli è assolutamente proibito assistere o prendere parte attivamente ai culti
degli acattolici (cioè dei non-cattolici) in qualsiasi maniera.” Ed
ecco come lo spiega questo commento ufficiale della dottrina della Chiesa che
io ho solo copiato:
“La partecipazione è attiva e
formale quando un cattolico partecipa ad un culto eterodosso, cioè non
cattolico, con l’intenzione di onorare Dio con quel mezzo, alla maniera dei
non-cattolici”. Ripeto:
“La partecipazione è attiva e formale quando un cattolico partecipa ad un culto
non-cattolico con l’intenzione di onorare Dio con quel mezzo alla maniera dei
non-cattolici”. E’ esattamente ciò davanti al quale ci troviamo. Penso
realmente che i vescovi ed il Papa abbiano intenzione di onorare Dio con il
culto non-cattolico cui partecipano. Io credo di non sbagliarmi.
“Una tale partecipazione è proibita
sotto qualsiasi forma quovis modo –perché implica professione di una falsa religione e di
conseguenza rinnegamento della Fede cattolica”. E la Santa Sede nel 1889
decretava: “E’ proibito pregare, cantare, suonare l’organo in un tempio
eretico o scismatico, associandosi ai fedeli che vi celebrano il loro culto,
anche se i termini e le preghiere sono ortodossi”.
Non sono io ad averlo scritto. E’ a
grosse lettere nel trattato di Diritto Canonico del canonico
Naz che fa testo e che è sempre stato considerato nella Chiesa come un commento
del tutto ufficiale e valido. Quelli che partecipano così attivamente e formalmente
al culto dei non cattolici sono presunti aderire alle credenze di questi
ultimi. Perciò il Canone 2316 li dichiara “sospetti di eresia” e se
perseverano essi sono “considerati come eretici”. Io non faccio che
citare quel testo.
Perché questa legislazione della
Chiesa? Per aiutarci a praticare il primo comandamento che è di professare la
nostra Fede cattolica. Se la professiamo, ci risulta impossibile, inconcepibile
professare un’altra fede e partecipare ad un altro culto. Pregando in
un altro culto noi professiamo di onorare il dio invocato da quel culto, quello
di una falsa religione. Un dio che è una costruzione della mente o un idolo
qualunque, ma che non è il vero Dio.
Come volete che i Giudei preghino il
vero Dio? Essi sono formalmente, essenzialmente contro Nostro Signore Gesù
Cristo, precisamente dal giorno della Risurrezione di Nostro Signore e perfino
da prima dato che l’hanno crocifisso. Ma in modo quasi ufficiale dopo la
Resurrezione: si sono messi immediatamente a perseguitare i discepoli di Nostro
Signore Gesù Cristo e questo per secoli. Come possiamo pregare il vero Dio con
i Giudei? Chi è Nostro Signore Gesù Cristo? E’ il Verbo di Dio, è Dio. Noi
non abbiamo che un solo Dio: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo ed un solo
Signore, Nostro Signore Gesù Cristo.
Sono gli Evangelisti a ripetercelo a
sazietà. Chiunque si oppone a Nostro Signore Gesù Cristo non ha il
Padre, come dice esplicitamente san Giovanni nelle sue lettere: “Chi non ha
il Figlio, non ha il Padre. Colui che non onora il Figlio, non onora il Padre”.
(I Giov. 2, 23). E’ normale, non c’è che un solo Dio in tre Persone. Se
una delle Persone è disonorata, rifiutata, non si possono onorare le altre
persone. E’ impossibile. Significa distruggere la Santissima Trinità. Di
conseguenza, disonorando Nostro Signore Gesù Cristo, i Giudei disonorano la
Santissima Trinità. Come potrebbero pregare Nostro Signore, il vero Dio? Ora,
in Cielo non c’è un altro Dio che conosciamo, che ci sia stato insegnato
dalla nostra Fede cattolica.
Ecco la situazione di fronte alla
quale ci troviamo. Io non la invento. Non sono io a volerla, al
contrario. Vorrei morire, vorrei dare la mia vita perché non esistesse.
Noi ci troviamo davanti a un dilemma
eccessivamente grave, che nella Chiesa, credo non si sia mai posto. Che colui che siede sul Trono di
Pietro partecipi a dei culti di falsi dei, penso che questo non sia mai
accaduto in tutta la storia della Chiesa.
Che conclusione dovremmo forse
trarre tra qualche mese davanti a questi ripetuti atti di
partecipazione a dei falsi culti? Non lo so. Io me lo chiedo. Ma è
impossibile che siamo costretti a credere che questo papa non sia papa. Non
voglio ancora dirlo in modo solenne e formale, ma a prima vista sembra proprio
impossibile che un papa sia eretico pubblicamente e formalmente.
Nostro Signore gli ha promesso di
essere con lui, di mantenerlo nella Fede e senza che possa errare nella Fede,
ma egli può al tempo stesso essere eretico pubblicamente e quasi apostatare?
Ecco un problema che non concerne solo me, ma tutti voi.
Perché ci hanno perseguitato, perché
ora ci trattano come delle persone che sono quasi fuori dalla Chiesa? E’ perché
siamo rimasti cattolici e vogliamo restarlo. Noi constatiamo, rimanendo
cattolici, che quelle persone si allontanano sempre di più dalla dottrina
cattolica e dunque da noi. Che ci volete fare? E’ esattamente come i Giudei che
si sono allontanati da Nostro Signore Gesù Cristo sempre più fino a diventarne
nemici giurati. I Giudei avrebbero dovuto tutti riunirsi intorno a
Nostro Signore. Avrebbero dovuto tutti seguire la Santissima Vergine Maria e
gli Apostoli eccezion fatta per Giuda, certo, ma tutti i
discepoli di Nostro Signore sono dei Giudei che si sono convertiti a Nostro
Signore e che l’hanno seguito. La nostra religione cristiana è
cominciata con dei Giudei convertiti. Perché ne esiste un certo numero che ha
rifiutato di convertirsi nonostante tutta l’evidenza dei miracoli di Nostro Signore,
l’evidenza della sua Resurrezione? I soldati che erano presenti, spaventati
dopo l’apparizione dell’angelo ed il terremoto verificatosi, sono corsi dai
principi dei sacerdoti per dire quello che era successo. Cioè che Nostro
Signore non era più nella sua tomba, che era risuscitato e che avevano sentito
un terremoto spaventoso. Sono andati ad esternare la loro constatazione ed a
rendere la loro testimonianza.
Che cosa hanno fatto i principi dei
sacerdoti? Invece di dire: facciamo ammenda onorevole, ci siamo sbagliati, noi
adoriamo Nostro Signore Gesù Cristo; se è davvero risorto, come possiamo non
adorarlo, non seguirlo?
No. Cosa hanno detto ai soldati?
“Eccovi una bella somma di denaro e andate a ripetere in tutta Gerusalemme che
mentre dormivate gli Apostoli sono venuti a prendere il corpo di Nostro
Signore”. Allora, come scrive bene sant’Agostino, penso sorridendo: “Come hanno
potuto affermare che avevano visto gli Apostoli portare via il corpo di Nostro
Signore se dormivano? Essi non hanno potuto vedere. E’ il demonio che li ha
ispirati ed essi sono restati sotto la sua influenza”.
Che fare? Di fronte a questa
situazione della Chiesa noi dobbiamo mattina e sera, giorno e notte pregare la
Santissima Vergine Maria di soccorrere la sua Chiesa. Perché è uno scandalo notevole e nel
vero senso del termine, scandalo vuol dire spingere al peccato come lo scandalo
dell’ecumenismo e la partecipazione ai culti delle false religioni. I
cattolici perdono la Fede. Non hanno più la Fede nella Chiesa cattolica. Non
credono più che ci sia una sola vera religione, che ci sia un solo e vero Dio,
la Santissima Trinità. La Fede scompare quando l’esempio e lo scandalo
vengono da così in alto, da colui che siede sul Trono di Pietro e da quasi
tutti i vescovi.
Allora, poveri cristiani
abbandonati a se stessi, che non hanno sufficiente formazione cristiana per
conservare la loro Fede cattolica nonostante tutto, o che non hanno vicino a
loro dei sacerdoti che li aiutino a conservare questa Fede! Sono smarriti. O
perdono la Fede, non praticano più, non pregano più, o si uniscono a delle
sette qualunque. Allora dobbiamo pregare molto, riflettere, domandare
al Buon Dio di conservarci la Fede cattolica qualunque cosa accada. Gli
eventi non dipendono da noi. E’ come un film del cinema proiettato davanti ai
nostri occhi. Dal Concilio vediamo la situazione deteriorarsi di anno in anno.
Il Sinodo ha toccato ancora, direi, il culmine ancora più grave degli altri
affermando: Noi continuiamo. Continuiamo, nonostante tutte le conseguenze
disastrose, il Sinodo ha voluto vedere nel Concilio un’opera dello Spirito
Santo, una Pentecoste straordinaria: bisogna continuare, continuare nello
spirito del Concilio, senza restrizioni, senza ammonizioni, senza ritorni alla
Tradizione.
E adesso vediamo le tappe
precipitare, sempre più in fretta. Forzatamente, visto che non ci sono state
obiezioni dopo questi venti anni di attuazione dello spirito del
Concilio, ormai tutti quelli che sono d’accordo con queste
trasformazioni nella Chiesa, non hanno motivo di non continuare e ancora più
rapidamente. Si arriva alla distruzione totale della Chiesa.
20 maggio 2017
L'eredità dello Hiéron du Val d'Or
La rivista "Regnabit"
Comunque l’esperienza di Paray-le-Monial lasciò almeno due eredità: il movimento collegato all’associazione Atlantis, fondata da Paul Le Cour nel 1927, e il gruppo intellettuale riunito attorno alla rivista Regnabit, diretta da padre Felix Anizan. Le Cour riprende soprattutto le componenti esoteriche a sfondo millenaristico e messianico. Padre Anizan fondò Regnabit (Rivista Universale del Sacro Cuore) all’inizio degli anni ‘20. Il periodico voleva integrare tutti gli aspetti riferiti a questo tema, e si avvalse della protezione del cardinale Dubois, arcivescovo di Parigi. E’ lui che spinge Louis Charbonneau-Lassay a collaborare. Nei sui articoli Charbonneau tenta di anticipare almeno ai primi del XIV secolo l’iconografia del Sacro Cuore. Con Regnabit collaborò dal 1925 al 1927 anche Renè Guenon, che dedicò la sua attenzione a molti aspetti del Sacro Cuore, ma ricondotti soprattutto a un simbolismo del cuore concepito come un centro sul piano materiale come su quello superiore in rapporto all’intelligenza universale. Ma la prospettiva di Guenon era diversa. Charbonneau cercò invece di recuperare l’ortodossia artistica del simbolismo cristiano, non discostandosi così dall’intento dello Hieron di Paray-le-Monial. Guenon voleva invece far sentire l’identità innata di tutte le tradizioni, prova della loro unità originale, e la perfetta uniformità del cristianesimo con la tradizione primordiale di cui sono ovunque vestigia. Oggi le considerazioni di Guenon appaiono fondamentali per la formazione di un’interpretazione fenomenologica dei simboli religiosi, in questo caso del simbolismo del centro, il cui cuore rappresenta un’espressione basilare. Potrebbero esserci connessioni con Mircea Eliade ma Guenon non concorda di sicuro con Lassay e Anizan.
Comunque l’esperienza di Paray-le-Monial lasciò almeno due eredità: il movimento collegato all’associazione Atlantis, fondata da Paul Le Cour nel 1927, e il gruppo intellettuale riunito attorno alla rivista Regnabit, diretta da padre Felix Anizan. Le Cour riprende soprattutto le componenti esoteriche a sfondo millenaristico e messianico. Padre Anizan fondò Regnabit (Rivista Universale del Sacro Cuore) all’inizio degli anni ‘20. Il periodico voleva integrare tutti gli aspetti riferiti a questo tema, e si avvalse della protezione del cardinale Dubois, arcivescovo di Parigi. E’ lui che spinge Louis Charbonneau-Lassay a collaborare. Nei sui articoli Charbonneau tenta di anticipare almeno ai primi del XIV secolo l’iconografia del Sacro Cuore. Con Regnabit collaborò dal 1925 al 1927 anche Renè Guenon, che dedicò la sua attenzione a molti aspetti del Sacro Cuore, ma ricondotti soprattutto a un simbolismo del cuore concepito come un centro sul piano materiale come su quello superiore in rapporto all’intelligenza universale. Ma la prospettiva di Guenon era diversa. Charbonneau cercò invece di recuperare l’ortodossia artistica del simbolismo cristiano, non discostandosi così dall’intento dello Hieron di Paray-le-Monial. Guenon voleva invece far sentire l’identità innata di tutte le tradizioni, prova della loro unità originale, e la perfetta uniformità del cristianesimo con la tradizione primordiale di cui sono ovunque vestigia. Oggi le considerazioni di Guenon appaiono fondamentali per la formazione di un’interpretazione fenomenologica dei simboli religiosi, in questo caso del simbolismo del centro, il cui cuore rappresenta un’espressione basilare. Potrebbero esserci connessioni con Mircea Eliade ma Guenon non concorda di sicuro con Lassay e Anizan.
Louis Charbonneau-Lassay
Charbonneau si mantiene comunque entro la tradizione dello Hieron: riscoprire i documenti di tradizioni anteriori per dimostrarne lo spirito cristiano dalle origini. Con Guenon la comparazione cambia aspetto. Egli si occupa prevalentemente di simbolismo cristiano, ma solo per individuare equivalenze che presenterebbe con i simbolismi di altre tradizioni. A causa di certi ambienti neo-scolastici Guenon fu costretto nel 1927 ad abbandonare la sua collaborazione. Si criticò comunque anche Anizan. Mentre il pensiero teologico del XIX sec. aveva affermato una sorta di coincidenza Sacro Cuore-Cristo, Anizan accoglie piuttosto l’idea di un Sacro Cuore simbolo universale, in qualche modo distinguibile dal Cristo-Persona. Comunque, dal marzo 1926, Regnabit accresce il sottotitolo, aggiungendo: “Organo della Società della Riflessione Intellettuale sul Sacro Cuore”. La società fu fondata nel 1925 con un manifesto sottoscritto da Guenon, Anizan, Charbonneau e altri, che sottolineava la sua conformità di intenti all’avvento del Regno Sociale di Cristo Re, dichiarando di voler essere un organo di conquista e di vedere nel Cuore di Cristo il compendio di tutti i misteri del Cristianesimo. Ma poi aggiunge che il simbolo è un aiuto al pensiero, e quindi è al pensiero che s’indirizza il Cristo. C’è anche un richiamo a popoli antichi. Nel 1926 Guenon pubblica su Regnabit l’articolo “Cuore raggiante e cuore fiammeggiante”. Il cuore, per Guenon, non è semplice centro simbolico dei sentimenti, ma centro dell’essere da tutti i punti di vista, a partire dall’intelligenza. La mentalità moderna da Cartesio in poi avrebbe deformato tale principio, ignorando sia l’intelletto puro e sovrarazionale e lasciando al cuore solo i sentimenti. Da qui, la distanza tra cuore radiante = luce dell’intelligenza e fiammeggiante = calore d’amore. Ma attenzione all’uso di “Amore”. Nell’ordine della cavalleria medievale esso intendeva spesso cose inesprimibili.
Charbonneau si mantiene comunque entro la tradizione dello Hieron: riscoprire i documenti di tradizioni anteriori per dimostrarne lo spirito cristiano dalle origini. Con Guenon la comparazione cambia aspetto. Egli si occupa prevalentemente di simbolismo cristiano, ma solo per individuare equivalenze che presenterebbe con i simbolismi di altre tradizioni. A causa di certi ambienti neo-scolastici Guenon fu costretto nel 1927 ad abbandonare la sua collaborazione. Si criticò comunque anche Anizan. Mentre il pensiero teologico del XIX sec. aveva affermato una sorta di coincidenza Sacro Cuore-Cristo, Anizan accoglie piuttosto l’idea di un Sacro Cuore simbolo universale, in qualche modo distinguibile dal Cristo-Persona. Comunque, dal marzo 1926, Regnabit accresce il sottotitolo, aggiungendo: “Organo della Società della Riflessione Intellettuale sul Sacro Cuore”. La società fu fondata nel 1925 con un manifesto sottoscritto da Guenon, Anizan, Charbonneau e altri, che sottolineava la sua conformità di intenti all’avvento del Regno Sociale di Cristo Re, dichiarando di voler essere un organo di conquista e di vedere nel Cuore di Cristo il compendio di tutti i misteri del Cristianesimo. Ma poi aggiunge che il simbolo è un aiuto al pensiero, e quindi è al pensiero che s’indirizza il Cristo. C’è anche un richiamo a popoli antichi. Nel 1926 Guenon pubblica su Regnabit l’articolo “Cuore raggiante e cuore fiammeggiante”. Il cuore, per Guenon, non è semplice centro simbolico dei sentimenti, ma centro dell’essere da tutti i punti di vista, a partire dall’intelligenza. La mentalità moderna da Cartesio in poi avrebbe deformato tale principio, ignorando sia l’intelletto puro e sovrarazionale e lasciando al cuore solo i sentimenti. Da qui, la distanza tra cuore radiante = luce dell’intelligenza e fiammeggiante = calore d’amore. Ma attenzione all’uso di “Amore”. Nell’ordine della cavalleria medievale esso intendeva spesso cose inesprimibili.
Liberamente tratto da Ascesi esicasta (riassunto) di Dario Gemini
15 aprile 2017
Lo Hiéron du Val d'Or
Regalità sociale di Cristo
Nel dicembre 1925, in Europa, è promulgata da Pio XI l’enciclica Quas primas, che introduce una liturgia per celebrare Cristo Re. Essa concludeva una serie di iniziative promosse da varie associazioni, tra le quali “La società del Regno Sociale” di Paray-le-Monial, l’opera per intronizzare il Sacro Cuore nelle famiglie e in vari ordini religiosi. Tutti si proponevano di rivendicare e affermare la “regalità sociale di Cristo”. Con questa espressione, non solo si riconsidera il lavoro in senso cattolico, ma si vuole estendere il regno di Cristo alla Terra. Fra i principali promotori dell’impresa c’è il gesuita Henri Ramiere, che dal 1879 pubblicherà una serie di saggi sull’ordine sociale cristiano. Il suo pensiero è ispirato a Sant’Agostino e a Bossuet, alla luce di una tesi di de Maistre. L’espressione “regalità sociale di Cristo” appare come una variante terminologica della medievale “societas christiana” ma con due differenze: riconosce la limitatezza storico-geografica della prima e manifesta la necessità di proiettare a livello planetario l’idea di una società cristiana ierocratica, che dava al papato il controllo supremo della sfera morale.
Devozione al Sacro Cuore
E’ un progetto politico-religioso intimamente connesso con la venerazione del Sacro Cuore, al punto che varie opere che teorizzano l’avvento del Sacro Cuore di Cristo sono intitolate a questo. Non a caso, le tappe dell’affermazione ideologica del regno sociale di Cristo coincidono quasi con quelle dell’imporsi nel mondo cattolico della venerazione del Sacro Cuore:
- 1856 - decreto emesso da Pio IX, che estende alla Chiesa
intera la venerazione del Sacro Cuore;
- 1873 - l’Assemblea Nazionale francese dichiara di pubblica
utilità la basilica del Sacro Cuore da costruire;
- 1899 - Enciclica Annum
Sacrum, in cui Leone XIII annuncia la prossima consacrazione del genere
umano al Sacro Cuore di Gesù;
- 1917 - Consacrazione delle nazioni dell’intesa del Sacro
Cuore compiuta a Paray-le-Monial, luogo delle apparizioni di Gesù a Margherita
Maria Alacocque.
Il fenomeno della devozione al Sacro Cuore è complesso.
Rappresenta una reazione del mondo cattolico alla secolarizzione e alla
scristianizzione originate dalla Rivoluzione Francese. Il tema del Sacro Cuore
era colorato monarchicamente e collegato con una prospettiva
controrivoluzionaria cattolica e legittimista. Nel 1870, dopo la sconfitta di
Sedan e la Comune di Parigi, la nazione francese è consacrata al Sacro Cuore
come riparazione dovuta all’offesa a Cristo. Con questi temi si intrecciano una
tendenza individualistica di tipo sentimentale e colorista e una esoterizzante
degli studi sul Sacro Cuore.
Paray-le-Monial e Palaiòs Logos
Dal 1873 questa cittadina francese diviene oggetto di pellegrinaggi. E’ il luogo delle visioni di Margherita Maria, dove quell’anno vanno più di duecentomila persone per riparare l’offesa della Comune di Parigi. A fine giugno, il padre gesuita Victor Drevon incontra un giovane aristocratico ispano-russo, il barone Alexis de Sarachaga, con il quale decide di fondare una nuova opera di devozione. I due gettarono le basi di quello che sarebbe diventato lo Hieron du Val d’Or, un santuario. All’inizio, le gerarchie cattoliche appoggiano i due. Lo scopo di Sarachaga era promuovere il Cristo Re sulla terra. Ma essa era divenuta una lotta escatologica, intesa come l’ultima per contrastare l’avvento dell’Anticristo, instaurando, prima della venuta di Gesù alla fine dei tempi, una nuova era nel segno del Regno Sociale di Cristo. Inoltre appaiono alcune variazioni dottrinali. Si riscopre la tradizione primordiale anteriore al Cristianesimo, recuperando una sorta di cattolicesimo prima di Cristo, disvelando simboli. Ciò avrebbe accreditato la sua crociata. Compaiono varie riviste in suo supporto. Scoperte di segni tellurici, nuovi spunti dottrinali, vogliono integrare il remoto passato tradizionale col cristianesimo, che sarebbe nato in Atlantide. La dottrina di cui si parla viene chiamata palaiòs logos = l’antico verbo. Non a caso, Paray-le-Monial si trova nell’antico paese della tribù gallica degli Edui, che era sempre stato il vero centro spirituale della Francia. Si calcolava poi il ritorno di Cristo sulla terra nel 2000 (quarto ciclo del Graal). Tali cose suscitarono riprovazione in varie parti del clero francese. Ma ciò non impedì che ricevesse riconoscimenti papali, vedi Leone XIII, tanto che i successori di Sarachaga furono impegnati per la proclamazione dell’enciclica Quas primas.
Liberamente tratto da Ascesi esicasta (riassunto) di Dario Gemini
12 marzo 2017
Il faraone eretico Akhenaton, Mosè e la “vera storia” dell’esodo biblico
di Roberto Cozzolino
Esiste un particolare
momento della mitologia ebraica, noto come “esodo”, che, secondo la versione
biblica, farebbe riferimento alla fuga delle popolazioni ebraiche dall’Egitto
dei faraoni, alla ricerca, sotto la guida di Mosè, della “terra promessa”, ad
essi garantita in virtù di un “patto” stipulato con il loro dio.
Si
tratta di una storia puramente ipotetica, mancando in parte di oggettivi
riscontri storicamente documentati, ma comunque decisamente verosimile – ed in ogni caso più
verosimile della maggior parte dei racconti biblici ed evangelici, ai quali una
quantità enorme di individui presta fede, pur in totale assenza di qualsiasi
verifica storica, quando non addirittura in aperta contraddizione con la storia
stessa.
Per motivi di spazio ci
limiteremo ad enunciare alcuni fatti fondamentali.
Intorno
al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle o
eretico”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in
tutto l’Egitto,
forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III e fonda una
nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo. Il popolo resta però in maggioranza fedele
agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton, saranno
solo una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze
tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle
tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto
dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.
Dopo
circa diciassette anni di governo, tuttavia, Akhenaton scompare nel nulla e la
restaurazione politeista si accanisce contro di lui, con una accurata damnatio
memoriae: quasi tutti i segni visibili
del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono così distrutti
e la stessa città di Amarna rasa al suolo.
Secondo
recenti ipotesi, un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano,
costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto, per stabilirsi
presumibilmente in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste
una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento
al divieto di abbandonare le terre dell’esilio.
L’identificazione
del faraone ribelle ed esiliato Akhenaton col Mosè biblico dell’esodo ebraico,
appare estremamente logica. Sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche,
circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè
sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque
ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del
sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che “non deve”
essere divulgata.
Facciamo
ora un salto in avanti di più di tremila anni: Egitto 1923, apertura ufficiale
della tomba di Tutankhamen. Contravvenendo – come del resto era la regola a quei tempi – alla più
elementari regole deontologiche, gli scopritori del sito archeologico, Lord Carnarvon e Howard Carter, avevano,
circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, già violato in segreto la tomba,
trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili che
avrebbero arricchito il mercato clandestino delle antichità egizie, nonché,
supponiamo, i loro personali patrimoni.
Ad un primo sommario
inventario, tra gli oggetti
“ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri;
di essi si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad
amici e colleghi; ma poco tempo dopo i
suddetti papiri risultano inesistenti, cancellati dai successivi
inventari. Interrogato in proposito, Carter
dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino
presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.
Tale
versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti – Carter, in
particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera – ma nessuno solleva
obiezioni. Accade però che in un
secondo momento, a seguito di vicende che non ci dilunghiamo a narrare, le autorità egiziane prospettino la
possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi.
Questi
allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli
fosse stata rinnovata la concessione, di
svelare al mondo intero il contenuto dei papiri… fornendo, cioè, il vero
resoconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Tale episodio è riportato
da Lee Keedick (memorie, 1924 circa) con tale dovizia di particolari, da far ritenere
improbabile che si tratti di una circostanza inventata, né risulterebbe
intelligibile il motivo di una eventuale fantasiosa invenzione.
E’ pertanto perfettamente
lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti
indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i
papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci
verso la Palestina.
Ricordando
che era solo di pochi anni prima, la famigerata ‘Dichiarazione Balfour’ (ovvero
il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla
spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta
dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild –
principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del
movimento sionista – con la quale il
governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un
focolare ebraico in Palestina),si
comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti
fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una
presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei
propri presunti avi –avrebbe avuto
nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando
definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe
forzate e con tutti i mezzi disponibili, non escluso il terrorismo, la
colonizzazione della Palestina.
La
divulgazione di tale materiale avrebbe, inoltre, fornito argomentazioni
irrefutabili agli arabi, che in quegli anni manifestavano a Gerusalemme e
altrove, contro l’appoggio britannico alla creazione di uno stato ebraico in
Palestina.
Per inciso, vogliamo qui
puntualizzare che, quand’anche fosse provata la omogeneità razziale delle
popolazioni di religione ebraica (pur sembrandoci inverosimile far discendere
dal medesimo ceppo razziale un askenazita ed un falashà) o fosse provata la
presenza dominante in Palestina, tre millenni fa, dei progenitori degli attuali
ebrei, questo non sarebbe sufficiente a rivendicare alcunché. Inoltre, ci hanno
sempre ripetuto che uno stato fondato sulla razza costituisce il Male Assoluto…
ma forse l’entità sionista fa eccezione a tale regola generale.
Esistono,
inoltre, altre notizie interessanti a completare il quadro: lady Almina, moglie
di Lord Carnarvon, era la figlia di Alfred de Rothschild, finanziere e parente
stretto di Edmond de Rothschild, il banchiere ebreo promotore del primo
congresso sionista a Basilea del 1897. E’ presumibile, quindi, che questi sia
stato tempestivamente informato del contenuto dei papiri ed abbia effettuato le
opportune contromosse per impedirne la divulgazione.
Nei
dieci anni successivi alla scoperta della tomba di Tutankhamen, infatti, circa
una quindicina di personaggi che avevano avuto qualche ruolo nei lavori di
scavo e nella documentazione dei materiali rinvenuti, o semplicemente di questi
erano amici o parenti, perirono in circostanze a dir poco misteriose:
improbabili suicidi, strane malattie dai sintomi inspiegabili, anomali arresti
cardiaci ecc.
Inoltre,
la stampa dell’epoca accolse, amplificandola a dovere, la leggenda passata alla
storia come “la maledizione del faraone”, e nessuno
avanzò l’ipotesi che potesse semplicemente trattarsi di testimoni pericolosi,
scomodi, cui doveva essere drasticamente impedito di raccontare ciò che forse
sapevano.
Del
resto, la pratica degli “omicidi mirati” per l’eliminazione di chiunque
ostacoli l’entità sionista, non era ancora nota a tutti o da quasi tutti
passivamente accettata.
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