NULLA VERITAS SINE TRADITIONE


19 dicembre 2017

La decadenza latina



18 novembre 2017

Guénon e la tradizione cattolica



di Alfredo Cattabiani

Di René Guénon si è spesso discusso perché la sua storia religiosa, che si concluse con la conversione all’Islam, è significativa ancora adesso rispecchiando la crisi spirituale che attraversa il mondo occidentale. Adelphi ha ripubblicato L’esoterismo di Dante, già uscito nel 1978 da Atanor; la Fondazione Julius Evola ha a sua volta stampato in uno dei “Quaderni di testi evoliani” (n.19) gli scritti del filosofo italiano sullo scrittore francese mentre all’Accademia di Romania si è svolto un convegno su “Esoterismo e religione nel pensiero di René Guénon“.

L’esoterismo di Dante è uno dei testi che Guénon dedicò al cattolicesimo; si rammenteranno anche un saggio su San Bernardo e quello sul Simbolismo della Croce. Era convinto che soltanto radicandosi in una tradizione religiosa si potesse accedere alla conoscenza di quella verità universale che chiamava Tradizione: “Tradizione che è dappertutto la stessa, nonostante le forme diverse che riveste per adattarsi a ogni razza e a ogni epoca”. Si potrebbe obiettare perché avesse abbandonato la sua religione, il cattolicesimo. Probabilmente perché era attratto dall’Islam, che nulla concedeva alle filosofie razionaliste e materialiste occidentali, e anche dal sufismo, al quale fu iniziato fin dal 1912.

In questa luce vanno lette le sue considerazioni sull’esoterismo di Dante giustificate dai celebri versi: “O voi che avete gl’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani” (Inferno IX, 61-63). Guénon vi proietta le sue idee sull’opera dantesca la quale d’altronde suscita ancora oggi tante riflessioni per il suo legame con l’associazione della “Fede santa”, di cui il poeta fiorentino pare sia stato uno dei capi, con l’ermetismo e persino con la tradizione islamica, testimoniato dalle analogie fra il suo “viaggio” da Inferno e Paradiso e quello che si ritrova nel Kitâb el-isrà (Libro del viaggio notturno che fece Maometto) e le Fûtûhât el-Mekkihah (Rivelazioni della Mecca) di Mohyiddin ibn Arabi, opere pubblicate 80 anni prima della Commedia.

In ogni modo i saggi di Guénon sono sempre stimolanti a patto che vi si distinguano gli aspetti positivi da quelli inaccettabili da un cattolico, come sottolineava all’indomani della sua morte il gesuita Jean Daniélou il quale gli riconosceva alcuni meriti, come la critica degli errori delle culture materialiste e immanentiste, lo smascheramento dello pseudo spiritualismo delle dottrine occultistiche, il ristabilimento della corretta interpretazione delle religioni orientali e infine la rivalutazione del simbolismo tradizionale. Ma gli rimproverava di avere misconosciuto la verità assoluta del cristianesimo: “Vi sono elementi che non possedeva la tradizione precedente, una promozione spirituale. Questa promozione corrisponde al passaggio dalla conoscenza di Dio grazie al mondo visibile alla rivelazione della sua vita intima in Gesù Cristo”.
Guénon infatti confondeva la religione cosmica, che ogni tradizione ha ricavato dal mondo visibile, con quella che chiamava Tradizione, o trasmissione integrale delle verità metafisiche, svalutando così la Rivelazione di Cristo.

Un’altra critica a Guénon riguarda uno dei punti più deboli del suo pensiero. In Les nouvelles littéraires del 18 gennaio 1951, Louis Pauwels ricordava l’influenza su molti giovani attratti dal suo “profetismo dell’apocalisse”, ispirato alla dottrina dell’eterno ritorno e delle quattro età, secondo la quale la nostra concluderebbe in senso discendente un ciclo; ma soggiungeva che quel profetismo non offriva le chiavi per una partecipazione al mondo presente, anzi era paralizzante: “Per me, come d’altronde per molti giovani del mio ambiente, di là dalla conoscenza proposta dal filosofo del Cairo, vi è la scoperta di un obbligo complementare, che è l’obbligo dell’amore. Esso rende possibile la partecipazione al mondo e la comunicazione con gli esseri che solo il mistero dell’amore, chiuso a Guénon, ci restituisce”.

1 ottobre 2017

Il simbolismo del polpo




di Mariangela Puglisi

Sui documenti monetali il polpo come tipo principale e anche come simbolo ha una diffusione limitata. L’interpretazione del polpo in senso naturalistico, evocatrice dell’ambiente marino, quasi metonimico del mare, non sembra essere l’unica possibile, né la più pregnante. La sua presenza infatti può assumere altri significati in associazione con altri elementi figurativi sulle monete, all’interno di un più ampio linguaggio simbolico quale era quello del panorama iconografico greco. La frequenza di questo motivo nella civiltà minoica è stata spiegata semplicisticamente come un motivo decorativo evocativo dell’abbondanza che viene dal mare.
Alla luce della sua permanenza in ambito miceneo in contesti funerari e spesso ormai privo di connotazioni naturalistiche, e in ambiente arcaico-classico sulle monete dove appare sempre in connessione con divinità, figure mitiche o altri elementi riconducibili ad ambito religioso, si è indotti a ricercare un significato più profondo.

  

La sua valenza positiva, che è stata probabilmente la ragione della scelta della sua rappresentazione su tanti documenti figurativi antichi come emblema della capacità umana di superare le avversità e di “accompagnatore” nel viaggio ultraterreno, sembra però essersi, se non perduta, quanto meno affievolita nel tempo, tanto che esso viene sempre meno utilizzato - anche in ceramografia - come un relitto di una cultura più antica, esplicitata da diverse fonti letterarie che associano all’animale la mhvtiı, l’astuzia, la saggezza, tanto che esso può apparire un “aggettivo” qualificativo dei contesti in cui compare. Il suo abbinamento con Poseidon, con l’eroe fondatore Taras, con Scilla, con il Gorgoneion, con la ninfa eponima Arethusa, figure che appartengono ad un sostrato molto antico, potrebbe giustificarsi in questa prospettiva e richiamare l’idea del viaggio, del passaggio, delle trasformazioni che ricorrono nell’esistenza umana.


Significativo è che si ritrova, qualora venga utilizzato quale tipo principale, più spesso sul rovescio della moneta, quindi in subordine al tipo di diritto, del quale sembra essere il completamento, riferibile a personaggi e soggetti diversi (Poseidon, Athena, il tripode apollineo, la conchiglia), diventandone l’elemento connotativo.
Queste relazioni sicuramente lo connotano in senso favorevole, come in senso positivo lo intendono diverse fonti letterarie che sembrano rifarsi ad una realtà più arcaica, di derivazione omerica, dal momento che nell’immaginario greco è accostato ad Odisseo, l’uomo saggio e astuto per eccellenza, l’uomo che sa districarsi grazie alla sua intelligenza e alla sua “polimorfia”.


2 settembre 2017

Un Papa veramente Santo: San Pio X



PIO X  P. M.
Riese (Treviso), 2 giugno 1835 - Roma, 21 agosto 1914


Giuseppe Sarto nacque a Riese, nella diocesi di Treviso, il 2 giugno 1835. Dopo l’ordinazione sacerdotale fu inviato come cappellano nella parrocchia di Tombolo, dove rimase per nove anni; per altri otto svolse il ministero di parroco a Salzano, e successivamente fu nominato canonico e cancelliere della curia vescovile. Nel 1884 venne eletto vescovo di Mantova. Con la sua intensa azione pastorale anticipò alcune delle linee che avrebbe adottato in seguito come pastore della Chiesa universale: promosse la vita del seminario, la pratica dei sacramenti, il canto liturgico e l’insegnamento del catechismo. Nel 1888 convocò il Sinodo diocesano. Il 5 giugno 1892 fu chiamato alla sede patriarcale di Venezia e il 4 agosto 1903 fu eletto alla cattedra di Pietro, assumendo il nome di Pio X.

E’ il pontefice che nel Motu proprio “Tra le sollecitudini” (1903) affermò che la partecipazione ai santi misteri è la fonte prima e indispensabile della vita cristiana. Difese con forza l’integrità della fede cattolica, propose e incoraggiò la comunione eucaristica anche dei fanciulli, avviò la riforma della legislazione ecclesiastica, si occupò positivamente della questione romana e dell’Azione Cattolica, curò la formazione dei sacerdoti, fece elaborare un nuovo catechismo, favorì il movimento biblico, promosse la riforma liturgica e il canto sacro. Morì il 21 agosto 1914. Pio XII lo beatificò nel 1951 e lo canonizzò nel 1954.

29 giugno 2017

Mons. Lefebvre: Il dramma dell’ecumenismo



Miei carissimi amici, miei carissimi fratelli,
Noi sappiamo tutti che attualmente siamo di fronte ad una situazione della Chiesa sempre più inquietante. Non è da oggi che si pone il problema, ma dal Concilio, specialmente dall’applicazione delle riforme conciliari. Assistiamo ad una specie di "escalation" dell’ecumenismo da parte del Papa e dei vescovi. Ciò non fa mistero e si è visto e risaputo in tutto il mondo e la televisione e tutti i mezzi di comunicazione sociale testimoniano questo ecumenismo oggi praticato dalle autorità della Chiesa. Questo ecumenismo pone a ciascuno, ne sono certo, un grave problema di coscienza. Noi, vogliamo ed abbiamo deciso di rimanere cattolici e non credo che abbiamo intenzione di cambiare. Il cattolicesimo per noi significa conservare la Fede, i Sacramenti, il Santo Sacrificio della Messa, il catechismo, tutto ciò che la Chiesa ha insegnato e lasciato come eredità preziosa per diciannove secoli a generazioni e generazioni di cattolici. Noi stessi nell’infanzia, nella nostra gioventù, nella nostra adolescenza e nella maturità abbiamo ricevuto questa preziosa eredità che ci è cara come la luce degli occhi. Questa Fede e tutti i mezzi per conservarla che ci sono stati lasciati per mantenere in noi la grazia sono necessari e assolutamente indispensabili per salvare le nostre anime ed andare in Paradiso. Non è per un’altra ragione che vogliamo restare cattolici: è per salvare le nostre anime. Giovedì ho detto che abbiamo l’impressione di allontanarci sempre più da quelli che praticano questo ecumenismo insensato e contrario alla Fede cattolica. Ma dovrei dire piuttosto che restando cattolici e decidendo di restarlo fino alla fine dei nostri giorni, sono loro che noi vediamo allontanarsi da noi perché vogliamo restare cattolici. Si allontanano sempre più dal primo precetto di un battezzato che è di professare la sua Fede cattolica. Non è per niente che i nostri padrino e madrina hanno pronunciato il Credo il giorno del nostro battesimo e che poi, quando abbiamo ricevuto la Cresima, noi stessi abbiamo ripetuto quel Credo che ci lega definitivamente alla Fede cattolica.
Ora, dei fatti sconvolgenti si sono accumulati soprattutto a partire dai viaggi del Papa in Marocco, nel Togo, nelle Indie e i comunicati che la Santa Sede ha pubblicato ufficialmente questi ultimi giorni affermano che il Papa ha intenzione di recarsi dagli Ebrei, per pregare con loro, che il Papa si recherà a Taizé per pregare con i protestanti e che vuole fare, e lo ha detto egli stesso pubblicamente a San Paolo fuori le Mura, una cerimonia che riunisca tutte le religioni del mondo per pregare con loro ad Assisi, per la pace, in occasione della Giornata della pace, che si svolgerà il 24 ottobre, nel contesto dell’Anno della pace proclamato dall’O.N.U.
Lo avete letto nei giornali e quelli che hanno la televisione lo hanno potuto vedere e sentire essi stessi.
Che ne pensiamo? Qual è la reazione della nostra Fede cattolica? E’ questo che conta. Non è il nostro sentimento personale, una specie d’impressione di constatazione qualunque. Si tratta di sapere cosa ne pensa la Chiesa cattolica, secondo ciò che ci è stato insegnato, quali sono le reazioni della nostra fede davanti a tali fatti? Per questo vi citerò alcune brevissime frasi che ho raccolto nel trattato di Diritto Canonico del canonico Naz. Il Diritto Canonico emanato su ordine del santo Papa Pio X e pubblicato da Benedetto XV, è l’espressione della legge della Chiesa e che le  è stata propria per diciannove secoli.
Partecipazione ad un culto non cattolico
Che dicono questi testi a proposito di quella che è detta communicatio in sacris, cioè la partecipazione ad un culto non cattolico o presso i non cattolici?
Credo che sia proprio il nostro caso quando il Papa e dei vescovi si dedicano alla partecipazione a culti non cattolici. Cosa dice la Chiesa della communicatio in sacris? Essa è vietata con i non cattolici dal Diritto Canonico 1258, § 1, che dice: “Ai fedeli è assolutamente proibito assistere o prendere parte attivamente ai culti degli acattolici (cioè dei non-cattolici) in qualsiasi maniera.” Ed ecco come lo spiega questo commento ufficiale della dottrina della Chiesa che io ho solo copiato:
“La partecipazione è attiva e formale quando un cattolico partecipa ad un culto eterodosso, cioè non cattolico, con l’intenzione di onorare Dio con quel mezzo, alla maniera dei non-cattolici”. Ripeto: “La partecipazione è attiva e formale quando un cattolico partecipa ad un culto non-cattolico con l’intenzione di onorare Dio con quel mezzo alla maniera dei non-cattolici”. E’ esattamente ciò davanti al quale ci troviamo. Penso realmente che i vescovi ed il Papa abbiano intenzione di onorare Dio con il culto non-cattolico cui partecipano. Io credo di non sbagliarmi.
“Una tale partecipazione è proibita sotto qualsiasi forma quovis modo –perché implica professione di una falsa religione e di conseguenza rinnegamento della Fede cattolica”. E la Santa Sede nel 1889 decretava: “E’ proibito pregare, cantare, suonare l’organo in un tempio eretico o scismatico, associandosi ai fedeli che vi celebrano il loro culto, anche se i termini e le preghiere sono ortodossi”.
Non sono io ad averlo scritto. E’ a grosse lettere nel trattato di Diritto Canonico del canonico Naz che fa testo e che è sempre stato considerato nella Chiesa come un commento del tutto ufficiale e valido. Quelli che partecipano così attivamente e formalmente al culto dei non cattolici sono presunti aderire alle credenze di questi ultimi. Perciò il Canone 2316 li dichiara “sospetti di eresia” e se perseverano essi sono “considerati come eretici”. Io non faccio che citare quel testo.
Perché questa legislazione della Chiesa? Per aiutarci a praticare il primo comandamento che è di professare la nostra Fede cattolica. Se la professiamo, ci risulta impossibile, inconcepibile professare un’altra fede e partecipare ad un altro culto. Pregando in un altro culto noi professiamo di onorare il dio invocato da quel culto, quello di una falsa religione. Un dio che è una costruzione della mente o un idolo qualunque, ma che non è il vero Dio.
Come volete che i Giudei preghino il vero Dio? Essi sono formalmente, essenzialmente contro Nostro Signore Gesù Cristo, precisamente dal giorno della Risurrezione di Nostro Signore e perfino da prima dato che l’hanno crocifisso. Ma in modo quasi ufficiale dopo la Resurrezione: si sono messi immediatamente a perseguitare i discepoli di Nostro Signore Gesù Cristo e questo per secoli. Come possiamo pregare il vero Dio con i Giudei? Chi è Nostro Signore Gesù Cristo? E’ il Verbo di Dio, è Dio. Noi non abbiamo che un solo Dio: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo ed un solo Signore, Nostro Signore Gesù Cristo.
Sono gli Evangelisti a ripetercelo a sazietà. Chiunque si oppone a Nostro Signore Gesù Cristo non ha il Padre, come dice esplicitamente san Giovanni nelle sue lettere: “Chi non ha il Figlio, non ha il Padre. Colui che non onora il Figlio, non onora il Padre”. (I Giov. 2, 23). E’ normale, non c’è che un solo Dio in tre Persone. Se una delle Persone è disonorata, rifiutata, non si possono onorare le altre persone. E’ impossibile. Significa distruggere la Santissima Trinità. Di conseguenza, disonorando Nostro Signore Gesù Cristo, i Giudei disonorano la Santissima Trinità. Come potrebbero pregare Nostro Signore, il vero Dio? Ora, in Cielo non c’è un altro Dio che conosciamo, che ci  sia stato insegnato dalla nostra Fede cattolica.
Ecco la situazione di fronte alla quale ci troviamo. Io non la invento. Non sono io a volerla, al contrario. Vorrei morire, vorrei dare la mia vita perché non esistesse. 
Noi ci troviamo davanti a un dilemma eccessivamente grave, che nella Chiesa, credo non si sia mai posto. Che colui che siede sul Trono di Pietro partecipi a dei culti di falsi dei, penso che questo non sia mai accaduto in tutta la storia della Chiesa.
Che conclusione dovremmo forse trarre tra qualche mese davanti a questi ripetuti atti di partecipazione a dei falsi culti? Non lo so. Io me lo chiedo. Ma è impossibile che siamo costretti a credere che questo papa non sia papa. Non voglio ancora dirlo in modo solenne e formale, ma a prima vista sembra proprio impossibile che un papa sia eretico pubblicamente e formalmente.
Nostro Signore gli ha promesso di essere con lui, di mantenerlo nella Fede e senza che possa errare nella Fede, ma egli può al tempo stesso essere eretico pubblicamente e quasi apostatare? Ecco un problema che non concerne solo me, ma tutti voi.
Perché ci hanno perseguitato, perché ora ci trattano come delle persone che sono quasi fuori dalla Chiesa? E’ perché siamo rimasti cattolici e vogliamo restarlo. Noi constatiamo, rimanendo cattolici, che quelle persone si allontanano sempre di più dalla dottrina cattolica e dunque da noi. Che ci volete fare? E’ esattamente come i Giudei che si sono allontanati da Nostro Signore Gesù Cristo sempre più fino a diventarne nemici giurati. I Giudei avrebbero dovuto tutti riunirsi intorno a Nostro Signore. Avrebbero dovuto tutti seguire la Santissima Vergine Maria e gli Apostoli eccezion fatta per Giuda, certo, ma tutti i discepoli di Nostro Signore sono dei Giudei che si sono convertiti a Nostro Signore e che l’hanno seguito. La nostra religione cristiana è cominciata con dei Giudei convertiti. Perché ne esiste un certo numero che ha rifiutato di convertirsi nonostante tutta l’evidenza dei miracoli di Nostro Signore, l’evidenza della sua Resurrezione? I soldati che erano presenti, spaventati dopo l’apparizione dell’angelo ed il terremoto verificatosi, sono corsi dai principi dei sacerdoti per dire quello che era successo. Cioè che Nostro Signore non era più nella sua tomba, che era risuscitato e che avevano sentito un terremoto spaventoso. Sono andati ad esternare la loro constatazione ed a rendere la loro testimonianza.
Che cosa hanno fatto i principi dei sacerdoti? Invece di dire: facciamo ammenda onorevole, ci siamo sbagliati, noi adoriamo Nostro Signore Gesù Cristo; se è davvero risorto, come possiamo non adorarlo, non seguirlo?
No. Cosa hanno detto ai soldati? “Eccovi una bella somma di denaro e andate a ripetere in tutta Gerusalemme che mentre dormivate gli Apostoli sono venuti a prendere il corpo di Nostro Signore”. Allora, come scrive bene sant’Agostino, penso sorridendo: “Come hanno potuto affermare che avevano visto gli Apostoli portare via il corpo di Nostro Signore se dormivano? Essi non hanno potuto vedere. E’ il demonio che li ha ispirati ed essi sono restati sotto la sua influenza”.
Che fare? Di fronte a questa situazione della Chiesa noi dobbiamo mattina e sera, giorno e notte pregare la Santissima Vergine Maria di soccorrere la sua Chiesa. Perché è uno scandalo notevole e nel vero senso del termine, scandalo vuol dire spingere al peccato come lo scandalo dell’ecumenismo e la partecipazione ai culti delle false religioni. I cattolici perdono la Fede. Non hanno più la Fede nella Chiesa cattolica. Non credono più che ci sia una sola vera religione, che ci sia un solo e vero Dio, la Santissima Trinità. La Fede scompare quando l’esempio e lo scandalo vengono da così in alto, da colui che siede sul Trono di Pietro e da quasi tutti i vescovi.
Allora, poveri cristiani abbandonati a se stessi, che non hanno sufficiente formazione cristiana per conservare la loro Fede cattolica nonostante tutto, o che non hanno vicino a loro dei sacerdoti che li aiutino a conservare questa Fede! Sono smarriti. O perdono la Fede, non praticano più, non pregano più, o si uniscono a delle sette qualunque. Allora dobbiamo pregare molto, riflettere, domandare al Buon Dio di conservarci la Fede cattolica qualunque cosa accada. Gli eventi non dipendono da noi. E’ come un film del cinema proiettato davanti ai nostri occhi. Dal Concilio vediamo la situazione deteriorarsi di anno in anno. Il Sinodo ha toccato ancora, direi, il culmine ancora più grave degli altri affermando: Noi continuiamo. Continuiamo, nonostante tutte le conseguenze disastrose, il Sinodo ha voluto vedere nel Concilio un’opera dello Spirito Santo, una Pentecoste straordinaria: bisogna continuare, continuare nello spirito del Concilio, senza restrizioni, senza ammonizioni, senza ritorni alla Tradizione.
E adesso vediamo le tappe precipitare, sempre più in fretta. Forzatamente, visto che non ci sono state obiezioni dopo questi venti anni di attuazione dello spirito del Concilio, ormai tutti quelli che sono d’accordo con queste trasformazioni nella Chiesa, non hanno motivo di non continuare e ancora più rapidamente. Si arriva alla distruzione totale della Chiesa.


20 maggio 2017

L'eredità dello Hiéron du Val d'Or



La rivista "Regnabit"

Comunque l’esperienza di Paray-le-Monial lasciò almeno due eredità: il movimento collegato all’associazione Atlantis, fondata da Paul Le Cour nel 1927, e il gruppo intellettuale riunito attorno alla rivista Regnabit, diretta da padre Felix Anizan. Le Cour riprende soprattutto le componenti esoteriche a sfondo millenaristico e messianico. Padre Anizan fondò Regnabit (Rivista Universale del Sacro Cuore) all’inizio degli anni ‘20. Il periodico voleva integrare tutti gli aspetti riferiti a questo tema, e si avvalse della protezione del cardinale Dubois, arcivescovo di Parigi. E’ lui che spinge Louis Charbonneau-Lassay a collaborare. Nei sui articoli Charbonneau tenta di anticipare almeno ai primi del XIV secolo l’iconografia del Sacro Cuore. Con Regnabit collaborò dal 1925 al 1927  anche Renè Guenon, che dedicò la sua attenzione a molti aspetti del Sacro Cuore, ma ricondotti soprattutto a un simbolismo del cuore concepito come un centro sul piano materiale come su quello superiore in rapporto all’intelligenza universale. Ma la prospettiva di Guenon era diversa. Charbonneau cercò invece di recuperare l’ortodossia artistica del simbolismo cristiano, non discostandosi così dall’intento dello Hieron di Paray-le-Monial. Guenon voleva invece far sentire l’identità innata di tutte le tradizioni, prova della loro unità originale, e la perfetta uniformità del cristianesimo con la tradizione primordiale di cui sono ovunque vestigia. Oggi le considerazioni di Guenon appaiono fondamentali per la formazione di un’interpretazione fenomenologica dei simboli religiosi, in questo caso del simbolismo del centro, il cui cuore rappresenta un’espressione basilare. Potrebbero esserci connessioni con Mircea Eliade ma Guenon non concorda di sicuro con Lassay e Anizan.


Louis Charbonneau-Lassay

Charbonneau si mantiene comunque entro la tradizione dello Hieron: riscoprire i documenti di tradizioni anteriori per dimostrarne lo spirito cristiano dalle origini. Con Guenon la comparazione cambia aspetto. Egli si occupa prevalentemente di simbolismo cristiano, ma solo per individuare equivalenze che presenterebbe con i simbolismi di altre tradizioni. A causa di certi ambienti neo-scolastici Guenon fu costretto nel 1927 ad abbandonare la sua collaborazione. Si criticò comunque anche Anizan. Mentre il pensiero teologico del XIX sec. aveva affermato una sorta di coincidenza Sacro Cuore-Cristo, Anizan accoglie piuttosto l’idea di un Sacro Cuore simbolo universale, in qualche modo distinguibile dal Cristo-Persona. Comunque, dal marzo 1926, Regnabit accresce il sottotitolo, aggiungendo: “Organo della Società della Riflessione Intellettuale sul Sacro Cuore”. La società fu fondata nel 1925 con un manifesto sottoscritto da Guenon, Anizan, Charbonneau e altri, che sottolineava la sua conformità di intenti all’avvento del Regno Sociale di Cristo Re, dichiarando di voler essere un organo di conquista e di vedere nel Cuore di Cristo il compendio di tutti i misteri del Cristianesimo. Ma poi aggiunge che il simbolo è un aiuto al pensiero, e quindi è al pensiero che s’indirizza il Cristo. C’è anche un richiamo a popoli antichi. Nel 1926 Guenon pubblica su Regnabit l’articolo “Cuore raggiante e cuore fiammeggiante”. Il cuore, per Guenon, non è semplice centro simbolico dei sentimenti, ma centro dell’essere da tutti i punti di vista, a partire dall’intelligenza. La mentalità moderna da Cartesio in poi avrebbe deformato tale principio, ignorando sia l’intelletto puro e sovrarazionale e lasciando al cuore solo i sentimenti. Da qui, la distanza tra cuore radiante = luce dell’intelligenza e fiammeggiante = calore d’amore. Ma attenzione all’uso di “Amore”. Nell’ordine della cavalleria medievale esso intendeva spesso cose inesprimibili.
Liberamente tratto da Ascesi esicasta (riassunto) di Dario Gemini

15 aprile 2017

Lo Hiéron du Val d'Or



Regalità sociale di Cristo

Nel dicembre 1925, in Europa, è promulgata da Pio XI l’enciclica Quas primas, che introduce una liturgia per celebrare Cristo Re. Essa concludeva una serie di iniziative promosse da varie associazioni, tra le quali “La società del Regno Sociale” di Paray-le-Monial, l’opera per intronizzare il Sacro Cuore nelle famiglie e in vari ordini religiosi. Tutti si proponevano di rivendicare e affermare la “regalità sociale di Cristo”. Con questa espressione, non solo si riconsidera il lavoro in senso cattolico, ma si vuole estendere il regno di Cristo alla Terra. Fra i principali promotori dell’impresa c’è il gesuita Henri Ramiere, che dal 1879 pubblicherà una serie di saggi sull’ordine sociale cristiano. Il suo pensiero è ispirato a SantAgostino e a Bossuet, alla luce di una tesi di de Maistre. L’espressione “regalità sociale di Cristo” appare come una variante terminologica della medievale “societas christiana” ma con due differenze: riconosce la limitatezza storico-geografica della prima e manifesta la necessità di proiettare a livello planetario l’idea di una società cristiana ierocratica, che dava al papato il controllo supremo della sfera morale.




Devozione al Sacro Cuore

E’ un progetto politico-religioso intimamente connesso con la venerazione del Sacro Cuore, al punto che varie opere che teorizzano l’avvento del Sacro Cuore di Cristo sono intitolate a questo. Non a caso, le tappe dell’affermazione ideologica del regno sociale di Cristo coincidono quasi con quelle dell’imporsi nel mondo cattolico della venerazione del Sacro Cuore:
- 1856 - decreto emesso da Pio IX, che estende alla Chiesa intera la venerazione del Sacro Cuore;
- 1873 - l’Assemblea Nazionale francese dichiara di pubblica utilità la basilica del Sacro Cuore da costruire;
- 1899 - Enciclica Annum Sacrum, in cui Leone XIII annuncia la prossima consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù;
- 1917 - Consacrazione delle nazioni dell’intesa del Sacro Cuore compiuta a Paray-le-Monial, luogo delle apparizioni di Gesù a Margherita Maria Alacocque.
Il fenomeno della devozione al Sacro Cuore è complesso. Rappresenta una reazione del mondo cattolico alla secolarizzione e alla scristianizzione originate dalla Rivoluzione Francese. Il tema del Sacro Cuore era colorato monarchicamente e collegato con una prospettiva controrivoluzionaria cattolica e legittimista. Nel 1870, dopo la sconfitta di Sedan e la Comune di Parigi, la nazione francese è consacrata al Sacro Cuore come riparazione dovuta all’offesa a Cristo. Con questi temi si intrecciano una tendenza individualistica di tipo sentimentale e colorista e una esoterizzante degli studi sul Sacro Cuore.




Paray-le-Monial e Palaiòs Logos

Dal 1873 questa cittadina francese diviene oggetto di pellegrinaggi. E’ il luogo delle visioni di Margherita Maria, dove quell’anno vanno più di duecentomila persone per riparare l’offesa della Comune di Parigi. A fine giugno, il padre gesuita Victor Drevon incontra un giovane aristocratico ispano-russo, il barone Alexis de Sarachaga, con il quale decide di fondare una nuova opera di devozione. I due gettarono le basi di quello che sarebbe diventato lo Hieron du Val d’Or, un santuario. All’inizio, le gerarchie cattoliche appoggiano i due. Lo scopo di Sarachaga era promuovere il Cristo Re sulla terra. Ma essa era divenuta una lotta escatologica, intesa come l’ultima per contrastare l’avvento dell’Anticristo, instaurando, prima della venuta di Gesù alla fine dei tempi, una nuova era nel segno del Regno Sociale di Cristo. Inoltre appaiono alcune variazioni dottrinali. Si riscopre la tradizione primordiale anteriore al Cristianesimo, recuperando una sorta di cattolicesimo prima di Cristo, disvelando simboli. Ciò avrebbe accreditato la sua crociata. Compaiono varie riviste in suo supporto. Scoperte di segni tellurici, nuovi spunti dottrinali, vogliono integrare il remoto passato tradizionale col cristianesimo, che sarebbe nato in Atlantide. La dottrina di cui si parla viene chiamata palaiòs logos = l’antico verbo. Non a caso, Paray-le-Monial si trova nell’antico paese della tribù gallica degli Edui, che era sempre stato il vero centro spirituale della Francia. Si calcolava poi il ritorno di Cristo sulla terra nel 2000 (quarto ciclo del Graal). Tali cose suscitarono riprovazione in varie parti del clero francese. Ma ciò non impedì che ricevesse riconoscimenti papali, vedi Leone XIII, tanto che i successori di Sarachaga furono impegnati per la proclamazione dell’enciclica Quas primas.



Liberamente tratto da Ascesi esicasta (riassunto) di Dario Gemini

12 marzo 2017

Il faraone eretico Akhenaton, Mosè e la “vera storia” dell’esodo biblico



di Roberto Cozzolino

Esiste un particolare momento della mitologia ebraica, noto come “esodo”, che, secondo la versione biblica, farebbe riferimento alla fuga delle popolazioni ebraiche dall’Egitto dei faraoni, alla ricerca, sotto la guida di Mosè, della “terra promessa”, ad essi garantita in virtù di un “patto” stipulato con il loro dio.

Si tratta di una storia puramente ipotetica, mancando in parte di oggettivi riscontri storicamente documentati, ma comunque decisamente verosimile – ed in ogni caso più verosimile della maggior parte dei racconti biblici ed evangelici, ai quali una quantità enorme di individui presta fede, pur in totale assenza di qualsiasi verifica storica, quando non addirittura in aperta contraddizione con la storia stessa.
Per motivi di spazio ci limiteremo ad enunciare alcuni fatti fondamentali.
Intorno al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle o eretico”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in tutto l’Egitto, forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III e fonda una nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo. Il popolo resta però in maggioranza fedele agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton, saranno solo una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.

Dopo circa diciassette anni di governo, tuttavia, Akhenaton scompare nel nulla e la restaurazione politeista si accanisce contro di lui, con una accurata damnatio memoriae: quasi tutti i segni visibili del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono così distrutti e la stessa città di Amarna rasa al suolo.
Secondo recenti ipotesi, un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano, costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto, per stabilirsi presumibilmente in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento al divieto di abbandonare le terre dell’esilio.
L’identificazione del faraone ribelle ed esiliato Akhenaton col Mosè biblico dell’esodo ebraico, appare estremamente logica. Sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche, circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che “non deve” essere divulgata.
Facciamo ora un salto in avanti di più di tremila anni: Egitto 1923, apertura ufficiale della tomba di Tutankhamen. Contravvenendo – come del resto era la regola a quei tempi – alla più elementari regole deontologiche, gli scopritori del sito archeologico, Lord Carnarvon e Howard Carter, avevano, circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, già violato in segreto la tomba, trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili che avrebbero arricchito il mercato clandestino delle antichità egizie, nonché, supponiamo, i loro personali patrimoni.

Ad un primo sommario inventario, tra gli oggetti “ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri; di essi si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad amici e colleghi; ma poco tempo dopo i suddetti papiri risultano inesistenti, cancellati dai successivi inventari. Interrogato in proposito, Carter dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.
Tale versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti – Carter, in particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera – ma nessuno solleva obiezioni. Accade però che in un secondo momento, a seguito di vicende che non ci dilunghiamo a narrare, le autorità egiziane prospettino la possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi.
Questi allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli fosse stata rinnovata la concessione, di svelare al mondo intero il contenuto dei papiri… fornendo, cioè, il vero resoconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Tale episodio è riportato da Lee Keedick (memorie, 1924 circa) con tale dovizia di particolari, da far ritenere improbabile che si tratti di una circostanza inventata, né risulterebbe intelligibile il motivo di una eventuale fantasiosa invenzione.
E’ pertanto perfettamente lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci verso la Palestina.

Ricordando che era solo di pochi anni prima, la famigerata ‘Dichiarazione Balfour’ (ovvero il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild – principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista – con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina),si comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei propri presunti avi –avrebbe avuto nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe forzate e con tutti i mezzi disponibili, non escluso il terrorismo, la colonizzazione della Palestina.

La divulgazione di tale materiale avrebbe, inoltre, fornito argomentazioni irrefutabili agli arabi, che in quegli anni manifestavano a Gerusalemme e altrove, contro l’appoggio britannico alla creazione di uno stato ebraico in Palestina.
Per inciso, vogliamo qui puntualizzare che, quand’anche fosse provata la omogeneità razziale delle popolazioni di religione ebraica (pur sembrandoci inverosimile far discendere dal medesimo ceppo razziale un askenazita ed un falashà) o fosse provata la presenza dominante in Palestina, tre millenni fa, dei progenitori degli attuali ebrei, questo non sarebbe sufficiente a rivendicare alcunché. Inoltre, ci hanno sempre ripetuto che uno stato fondato sulla razza costituisce il Male Assoluto… ma forse l’entità sionista fa eccezione a tale regola generale.
Esistono, inoltre, altre notizie interessanti a completare il quadro: lady Almina, moglie di Lord Carnarvon, era la figlia di Alfred de Rothschild, finanziere e parente stretto di Edmond de Rothschild, il banchiere ebreo promotore del primo congresso sionista a Basilea del 1897. E’ presumibile, quindi, che questi sia stato tempestivamente informato del contenuto dei papiri ed abbia effettuato le opportune contromosse per impedirne la divulgazione.
Nei dieci anni successivi alla scoperta della tomba di Tutankhamen, infatti, circa una quindicina di personaggi che avevano avuto qualche ruolo nei lavori di scavo e nella documentazione dei materiali rinvenuti, o semplicemente di questi erano amici o parenti, perirono in circostanze a dir poco misteriose: improbabili suicidi, strane malattie dai sintomi inspiegabili, anomali arresti cardiaci ecc.
Inoltre, la stampa dell’epoca accolse, amplificandola a dovere, la leggenda passata alla storia come “la maledizione del faraone”, e nessuno avanzò l’ipotesi che potesse semplicemente trattarsi di testimoni pericolosi, scomodi, cui doveva essere drasticamente impedito di raccontare ciò che forse sapevano.
Del resto, la pratica degli “omicidi mirati” per l’eliminazione di chiunque ostacoli l’entità sionista, non era ancora nota a tutti o da quasi tutti passivamente accettata.