NULLA VERITAS SINE TRADITIONE


18 novembre 2017

Guénon e la tradizione cattolica



di Alfredo Cattabiani

Di René Guénon si è spesso discusso perché la sua storia religiosa, che si concluse con la conversione all’Islam, è significativa ancora adesso rispecchiando la crisi spirituale che attraversa il mondo occidentale. Adelphi ha ripubblicato L’esoterismo di Dante, già uscito nel 1978 da Atanor; la Fondazione Julius Evola ha a sua volta stampato in uno dei “Quaderni di testi evoliani” (n.19) gli scritti del filosofo italiano sullo scrittore francese mentre all’Accademia di Romania si è svolto un convegno su “Esoterismo e religione nel pensiero di René Guénon“.

L’esoterismo di Dante è uno dei testi che Guénon dedicò al cattolicesimo; si rammenteranno anche un saggio su San Bernardo e quello sul Simbolismo della Croce. Era convinto che soltanto radicandosi in una tradizione religiosa si potesse accedere alla conoscenza di quella verità universale che chiamava Tradizione: “Tradizione che è dappertutto la stessa, nonostante le forme diverse che riveste per adattarsi a ogni razza e a ogni epoca”. Si potrebbe obiettare perché avesse abbandonato la sua religione, il cattolicesimo. Probabilmente perché era attratto dall’Islam, che nulla concedeva alle filosofie razionaliste e materialiste occidentali, e anche dal sufismo, al quale fu iniziato fin dal 1912.

In questa luce vanno lette le sue considerazioni sull’esoterismo di Dante giustificate dai celebri versi: “O voi che avete gl’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani” (Inferno IX, 61-63). Guénon vi proietta le sue idee sull’opera dantesca la quale d’altronde suscita ancora oggi tante riflessioni per il suo legame con l’associazione della “Fede santa”, di cui il poeta fiorentino pare sia stato uno dei capi, con l’ermetismo e persino con la tradizione islamica, testimoniato dalle analogie fra il suo “viaggio” da Inferno e Paradiso e quello che si ritrova nel Kitâb el-isrà (Libro del viaggio notturno che fece Maometto) e le Fûtûhât el-Mekkihah (Rivelazioni della Mecca) di Mohyiddin ibn Arabi, opere pubblicate 80 anni prima della Commedia.

In ogni modo i saggi di Guénon sono sempre stimolanti a patto che vi si distinguano gli aspetti positivi da quelli inaccettabili da un cattolico, come sottolineava all’indomani della sua morte il gesuita Jean Daniélou il quale gli riconosceva alcuni meriti, come la critica degli errori delle culture materialiste e immanentiste, lo smascheramento dello pseudo spiritualismo delle dottrine occultistiche, il ristabilimento della corretta interpretazione delle religioni orientali e infine la rivalutazione del simbolismo tradizionale. Ma gli rimproverava di avere misconosciuto la verità assoluta del cristianesimo: “Vi sono elementi che non possedeva la tradizione precedente, una promozione spirituale. Questa promozione corrisponde al passaggio dalla conoscenza di Dio grazie al mondo visibile alla rivelazione della sua vita intima in Gesù Cristo”.
Guénon infatti confondeva la religione cosmica, che ogni tradizione ha ricavato dal mondo visibile, con quella che chiamava Tradizione, o trasmissione integrale delle verità metafisiche, svalutando così la Rivelazione di Cristo.

Un’altra critica a Guénon riguarda uno dei punti più deboli del suo pensiero. In Les nouvelles littéraires del 18 gennaio 1951, Louis Pauwels ricordava l’influenza su molti giovani attratti dal suo “profetismo dell’apocalisse”, ispirato alla dottrina dell’eterno ritorno e delle quattro età, secondo la quale la nostra concluderebbe in senso discendente un ciclo; ma soggiungeva che quel profetismo non offriva le chiavi per una partecipazione al mondo presente, anzi era paralizzante: “Per me, come d’altronde per molti giovani del mio ambiente, di là dalla conoscenza proposta dal filosofo del Cairo, vi è la scoperta di un obbligo complementare, che è l’obbligo dell’amore. Esso rende possibile la partecipazione al mondo e la comunicazione con gli esseri che solo il mistero dell’amore, chiuso a Guénon, ci restituisce”.