NULLA VERITAS SINE TRADITIONE


19 dicembre 2020

Lʼorigine ellenica del Cristianesimo (seconda parte)

 


Questa origine greca del cristianesimo è già stata riconosciuta da un israelita, Isidore Lévy, che scrisse, nella Leggenda di Pitagora:

«Il Vangelo ha sedotto il mondo antico perché ha portato in prestito al fascino antico più penetrante, un prodotto del pensiero greco, erede di un lontano passato indoeuropeo».

Joseph de Maistre, da parte sua, dichiarò che il cristianesimo era essenzialmente greco.

Non è senza interesse ricordare qui ciò che Bergson, sebbene fosse anche un israelita, scrisse:

«Il cristianesimo è carico di filosofia greca». E aggiunge: «Non cʼè dubbio che il cristianesimo fu una profonda trasformazione del giudaismo. Una religione che era sostanzialmente nazionale fu sostituita da una religione in grado di diventare universale. A un Dio che si distaccava da tutti gli altri allo stesso tempo per la sua giustizia e il suo potere, ma la cui giustizia riguardava soprattutto i suoi sudditi, è succeduto un Dio di amore e che agì per tutta lʼumanità. Questo è il motivo per cui esitiamo a collocare i profeti ebrei tra i mistici dellʼantichità. Jahveh era un giudice troppo severo; tra Israele e il loro Dio non cʼera abbastanza intimità».

Bergson, da parte sua, era molto propenso a convertirsi al cattolicesimo quando morì. Ma ciò che conta per noi qui è vedere un israelita concordare sul fatto che il cristianesimo, come dice lui, non deriva dal giudaismo ma dal misticismo alessandrino, attraverso platonismo, pitagorismo, orfismo e dionisismo.

Tali valutazioni supportano singolarmente la nostra tesi; ma ce ne sono ancora altre. Dionigi lʼAreopagita, vescovo di Atene, per esempio, tende a ellenizzare il cristianesimo nei suoi scritti, composti nel V secolo, al tempo della lotta tra i cristiani ellenici e i giudeo-cristiani.

Nel Rinascimento, lʼAccademia dei Medici e gli umanisti si sforzarono di riportare il cristianesimo allʼellenismo, separandolo dal giudaismo. Ma papa Sisto IV cercò di far assassinare Lorenzo il Magnifico durante una messa; egli fuggì miracolosamente, ma suo fratello, Giuliano, non lo fece e cadde sotto i colpi degli assassini.

In una recente rivista, Jean Héring ha scritto:

«Alcuni Padri della Chiesa, come Clemente di Alessandria, ammisero che, almeno per i Greci, la filosofia greca era stata dʼinsegnamento per il cristianesimo e che i filosofi, come Platone, erano certamente ispirati dal Logos, la parola di Dio. SantʼAgostino, da parte sua, considerava la filosofia di Plotino da questa stessa prospettiva. E, in generale, la filosofia dei Padri della Chiesa e dei vecchi concili non sarebbe quella che è senza lʼesistenza della filosofia greca ed ellenistica».

Emile Gebliart a sua volta scrisse:

«Il 4° Vangelo, opera dello spirito greco, tutto impregnato di neo platonismo, ha lo scopo di riportare il cristianesimo allʼideale».

Agli albori del cristianesimo cʼerano cristiani ellenistici; questi ultimi, molto numerosi, avevano una chiesa a Gerusalemme (Atti VI, 9) e questi ellenisti protestarono contro gli ebrei.

Interromperò qui queste citazioni: esse ci dimostrano chiaramente che il cristianesimo è unʼestensione dellʼellenismo, non del giudaismo, e che il Vangelo di Giovanni è essenzialmente greco.

Lutero dichiarò che il Vangelo di Giovanni era il Vangelo per eccellenza, il Vangelo unico, senza precedenti. «Questo Vangelo, ha detto, sarebbe sufficiente; potremmo fare a meno degli altri».

Il primo commento sul 4° Vangelo fu realizzato dallo gnostico Eracleone (anno 150 circa). Più di mezzo secolo dopo, Origene lo teneva costantemente sotto gli occhi quando, a sua volta, commentava lo stesso Vangelo.

È grazie a lui che rimangono frammenti, che sono stati conservati per noi in riferimento ai primi quattro capitoli.

Il poeta Nonno, che visse ad Alessandria alla fine del IV secolo e autore del poema Dionisiache, pubblicò in greco una Parafrasi del Vangelo di Giovanni. Parlando di Cristo nel suo prologo, scrive: «Il Logos è un dio nato in cielo e che brillava sin dallʼinizio accanto allʼeterno Dio, autore del Cosmo. In lui era la vita, per lui tutto ciò che era animato o inanimato era fatto».

Le preoccupazioni filosofiche di Nonno collegano lʼellenismo al cristianesimo. Nelle sue Dionisiache, dopo aver narrato della conquista dellʼIndia da parte di Dioniso-Bacco, gli fa cantare, a sua volta, un Inno al Sole, che celebrava tutte le religioni.

Paul Le Cour


14 novembre 2020

Lʼorigine ellenica del Cristianesimo (prima parte)

 


È consuetudine considerare che lʼorigine del cristianesimo sia ebraica. In effetti, i Vangeli, almeno tre di loro, fanno frequenti allusioni ai testi della Bibbia mosaica, tentando, attraverso genealogie, che sono diverse, di rendere Gesù discendente di Davide da Giuseppe (che, tuttavia, non è considerato suo padre).

Il Vangelo di Giovanni è unʼeccezione: in primo luogo, è stato scritto in greco e contiene rare allusioni alla Bibbia. Vedremo che le uniche allusioni che vengono fatte sono interpolazioni.

La chiesa cristiana, nella sua origine, era greca; i primi Padri della Chiesa erano greci e vi furono quattordici papi greci.

Cristo doveva parlare greco. Nel capitolo VII, 35 di Giovanni, gli ebrei sono preoccupati di vederlo andare e insegnare ai greci.

Dʼaltra parte, la lingua greca fu usata durante i primi secoli per predicare il Vangelo e per le cerimonie di culto, officiate in greco fino alla fine del V secolo. Il latino fu introdotto solo dopo che San Girolamo scrisse la Vulgata.

I dodici apostoli scelsero, per la distribuzione degli aiuti della Chiesa primitiva, sette diaconi, tutti elleni. Uno di loro, Stefano, si distinse per la sua accattivante eloquenza, attaccando frontalmente il giudaismo. Non cessò di parlare contro il Tempio e contro la Legge, fu perseguitato e obbligato ad apparire davanti al Sinedrio, dove fece una lunga e violenta requisitoria contro gli Israeliti, contro la loro idolatria e la durezza dei loro cuori. Le sue parole provocano un tumulto violento, fu trascinato fuori dalle mura e lapidato. È morto, calmo, perdonando i suoi carnefici. Fu il primo martire. A questo calvario hanno partecipato Paolo di Tarso, incaricato di recarsi a Damasco per distruggere, col ferro e fuoco, la setta dei cristiani. Sappiamo cosa è successo e come gli è apparso Cristo, dicendo: «Saulo, perché mi perseguiti?». Fu battezzato e prese il nome di Paolo (Paulus: il piccolo).

Se Cristo non fu compreso dagli ebrei, dʼaltra parte, la sua predicazione avrebbe trovato simpatia tra i Greci, a cui era legata la sua dottrina. Ciò è implicitamente espresso in questo passaggio del capitolo XII del 4° Vangelo, dove vediamo i Greci dichiarare a Filippo, che era di Betsaida, una città abitata da molti Greci, il suo desiderio di vedere Cristo e di parlare con lui, che provoca questa riflessione dei suoi Maestri:

«È giunto il momento in cui il Figlio dellʼUomo deve essere glorificato». In realtà, Cristo non sarà glorificato dagli ebrei, poiché essi lo condanneranno a morte, ma dai greci.

Ecco cosa dice Reuss su questo capitolo XII:

«Lʼautore è giunto alla fine della vita pubblica di Gesù. Viene disegnata lʼimmagine del tragico conflitto tra la nuova rivelazione e lo spirito ebraico. Una piccola minoranza credeva; una potente maggioranza non solo era sorda allʼappello ma si preparava a distruggere violentemente lʼopera della rigenerazione del mondo, appena iniziata. Da allora in poi, si dice tutto su questo antagonismo. Il lettore sente lʼimminente catastrofe. Qui, allʼimprovviso, un nuovo orizzonte si apre davanti ai suoi occhi, una prospettiva, ancora tutta ideale e profetica, e fa intravedere, per una causa apparentemente compromessa, se non persa, della gloriosa conquista del mondo pagano, una compensazione luminosa e piena di futuro che presto dimenticherà la resistenza, tanto meschina quanto cattiva, del mondo ebraico».

Ciò che lʼautore chiama il mondo pagano è il mondo greco. In realtà, questo sarà il mondo in grado di comprendere meglio la dottrina di Cristo, motivo per cui la Chiesa greco-ortodossa pretende essere la più vicina a quella dottrina rispetto alla Chiesa romana.

«Il giudaismo, scrive Renan, ha fornito il lievito che ha causato la fermentazione ma ciò si è verificato al di fuori di esso. Lʼelemento ellenico e romano, in primo luogo, lʼelemento germanico e celtico, in seguito, ha preso completamente il primato, cogliendo il cristianesimo esclusivamente e sviluppandolo in un senso molto diverso dalle sue origini primitive».

«Il cristianesimo, ha scritto Matyla Ghyka, da un punto di vista ideologico ed efficace, non sarebbe una religione semitica, ma una religione greco-egiziana, alla quale la Grecia ha contribuito con il pitagorismo. E questo, a sua volta, trasse le sue origini dalle tradizioni nordiche iperboree».

«Quello che i cristiani chiamano il Nuovo Testamento, ha scritto Ernest Havet, è costituito solo da libri greci». Fu per i Greci che furono scritte le lettere di Paolo; nellʼAsia greca sorgono le sette Chiese a cui è rivolta lʼApocalisse. Tutti i dogmi cristiani sono stati formulati in greco, nei concili greci. Le parole dogma, mistero, catechismo; i nomi di sacerdoti, vescovo, diacono, monaco, la stessa parola teologia, tutto è greco. In breve, il mondo greco divenne il mondo cristiano. Pertanto, è nel mondo greco che deve iniziare lo studio del cristianesimo.

«La Chiesa, aggiunge, dal momento in cui ha iniziato a riflettere sulla propria fede, non ha potuto fare a meno di riconoscere quanto ciò che si chiamava cristianesimo fosse ellenistico o, se si vuole, quanto ellenismo fosse cristiano. Alcuni dei suoi santi padri, Giustino, Clemente di Alessandria, essi stessi impregnati di saggezza ellenica, non avevano paura di confessare questi punti di conformità, e se ne vantavano persino».

«Continuo a credere, dice ancora, che, qualunque sia la parte del giudaismo nella rivoluzione cristiana, quella dellʼellenismo sia molto più notevole. I primi due vangeli sono ancora più ellenici delle lettere di Paolo; il terzo e il Libro degli Atti, ancora di più; per quanto riguarda il quarto, non è rimasto nulla, per così dire, del giudaismo».

Paul Le Cour

(continua)


2 ottobre 2020

Ellenismo e Cristianesimo

 


Finalmente tradotta e stampata in lingua italiana questa importante opera del maestro Paul Le Cour, pubblicata nel 1943 (versione qui edita) e successivamente rivisitata nel 1951.

Un testo dai contenuti sbalorditivi, che contribuisce, al di fuori degli schemi convenzionalmente accettati, a far conoscere e comprendere la vera essenza del Cristianesimo.




5 settembre 2020

Un racconto da riscoprire: Il Ciclo di Pilato



CICLO DI PILATO


LETTERE TRA PILATO ED ERODE 
LETTERE TRA PILATO E TIBERIO 
ANAFORA DI PILATO A CESARE AUGUSTO 
ANAFORA DI PILATO A TIBERIO CESARE 
PARADOSIS DI PILATO 
MORTE DI PILATO 
GUARIGIONE DI TIBERIO 
VENDETTA DEL SALVATORE 



26 giugno 2020

I documenti archeologici dell’Atlantide



I preti egizi dicevano che l’umanità attraversò sei diluvi, ognuno dei quali portò il predominio d’una razza. Quando scrivevo il mio “AVM - Principio fondamentale originario delle Arti umane” (E. Spiotti – Genova 1912), ignoravo che l’archeologo avesse scoperti e tenuti segreti i documenti atti ad avvalorare la mia asserzione sul contatto certo esistito fra i popoli dei due mondi, in un’era anteriore di molti millenni alla scoperta colombiana. Il contatto era evidente pel confronto tra i segni alfabetici dipinti sui ciottoli, rinvenuti nelle grotte di Mas d’Azil (Pirenei) e quelli inclusi nella scrittura pittografica dei Maya messicani [L’Atlantide era abitata dalla fiera razza “guancia” etnograficamente legata a quelle di varie tribù americane e forse’anche al ceppo dei Baschi e dei Berberi (da Tribuna)]; ma più ancora, oltre che per usi e arti comuni, il contatto rivelavasi per la simultaneità di simboli religiosi. Senza le stesse idee fondamentali, non si troverebbero laggiù i simboli uniti: civetta e serpente (attributi di Minerva), la croce come simbolo di vita e di morte [Oggi si riconosce che questo simbolo è anteriore al Cristianesimo]. L’ipotesi d’un’invenzione indipendente non era ammissibile; infatti, le scoperte di Schliemann hanno fornito “prove autentiche” sulla passata esistenza dell’Atlantide. Ciò costituisce la novità in fatto di conoscenze sulle origini.

L’articolo: “Come trovai l’Atlantide perduta”, del Dr Paul Schliemann, pubblicato nel citato giornale inglese [Magazine section of the London Hudget - London 17 nov. 1912], non ebbe diffusione da noi. Perciò lo traduco, riassumendolo:

Il dottore comincia col raccontare l’opera iniziata da un suo nonno il famoso studioso tedesco Enrico Schliemann, scopritore di Troja, Micene ed altro, che morendo a Napoli nel 1880, lasciò a un suo intimo una lettera da aprirsi solo da uno della sua famiglia che facesse voto solenne di dedicarsi alle ricerche archeologiche di cui dava indicazioni. Il nipote Paul si assunse questo incarico, e a fatto compiuto le vicende della scoperta.

E. Schliemann nel memoriale scriveva: “Quando nel 1873 scoprii a Hissarlick e Micene le rovine di Troja e il tesoro di Priamo, trovai nela seconda città un curioso vaso di bronzo di grandi dimensioni. Vi erano dentro diverse specie di vasi, varie piccole immagini su d’un metallo speciale, monete dello stesso metallo e oggetti d’osso fossilizzato. Su alcuni di questi oggetti e sul gran vaso era inciso in geroglifici fenici: “Dal Re Chronos di Atlantide”. Era la prima prova materiale della veridicità della grande leggenda menzionata da Platone e altri scrittori greci.
Conservai il segreto.

Al museo del Louvre, vidi nel 1883 la collezione degli oggetti Thiahuanaca del Centro-America; vasi della stessa forma e oggetti di osso fossilizzato riproducenti linea per linea quelli del Tesoro di Priamo; sopratutto uno dalla testa di gufo. Senonché i vasi di quella collezione non avevano caratteri fenici, nè alcuna inscrizione. Corsi a vedere i miei oggetti e mi accorsi allora che le iscrizioni dovevano essere state aggiunte posteriormente. Ebbi dei pezzi di questi simulacri di Tiahuanaca e li analizzai; provai a concludentemente che i vasi del Centro-America e quelli rinvenuti a Troja erano d’un argilla speciale; seppi poi definitivamente che tale argilla conteneva: platino, alluminio e rame e non esisteva nella vecchia fenicia, né nel Centro-America. L’analisi chimica del metallo stabilì che si trattava di amalgama mai conosciuta nei resti degli antichi e sconosciuta ad oggi.

Gli oggetti non erano né fenici, né micenei, né centro-americani: l’iscrizione indicava l’origine di essi: Atlantide.
Che tali oggetti fossero tenuti in grande venerazione è mostrato dalla loro presenza nel tesoro di Priamo e dal loro speciale ricettacolo. Il loro carattere li mostrava destinati alle cerimonie sacre del tempio.
In una nota scritta a matita, il nonno aggiungeva: “rompete il vaso dalla testa di gufo; concerne l’Atlantide. Investigate le rovine di Sais e il cimitero di Val Chacuna. Importante: prova il sistema. L’Atlantide non era solo un continente ma il perno della civiltà”.
Il vaso era vuoto, dice il nipote, e nemmeno voleva romperlo. Perchè il nonno diceva di farlo? Sapeva che non fosse unico? Che contenesse una prova?... Esitavo... Finalmente lo ruppi. Ne uscì un quadrato di metallo bianco, simile all’argento, con strane figure e iscrizioni a me ignote.
In quella specie di medaglia o moneta, coricata nell’argilla del fondo, era inciso a tergo in vecchio fenicio: “Proveniente dal tempio dei muri trasparenti”.

Nella collezione degli oggetti che il nonno diceva provenienti da Atlantide, c’era un anello dello stesso metallo, un elefante dallo sguardo strano in osso fossilizzato, un vaso arcaicissimo e la carta geografica fatta dagli Egizi quando ricercarono l’Atlantide.
[Furono rinvenuti diversi papiri riportanti dati ricavati dalla spedizioni di ricerca, spesso inutili] Un altro papiro di Manheto storico egiziano, riferisce la data di 13.900 anni, come regno dei savii dell’Atlantide. Il papiro pone ciò al principio della storia Egiziana, 16.000 anni a.C.

Dopo narrata l’opera del nonno, il Dottor Paul Schliemann parla della sua. Ottenne la concessione di scavare nelle rovine di Sais; lavorò molto invano, finchè un giorno conobbe un cacciatore egiziano che gli mostrò una collezione di monete rinvenute in un sarcofago di quella località. “Con sorpresa - ei dice - riconobbi in due medaglie l’identica dimensione e lo stesso disegno delle medaglie di metallo bianco del vaso trojano. Le figure erano meno chiare nei dettagli; mancavano le iscrizioni, ma certamente avevano la stessa origine. Esplorai il sarcofago: aveva appartenuto ad un prete della 1° dinastia; cosa di grande interesse, dato che il tempio di Sais erano legati i ricordi Atlantidi, rivelati dai preti egiziani a Solone. Il tempio si diceva fondato da un figlio di Atlante fuggito con la figlia del Re Chronos (il nome inciso sul vaso di Hissarlick).

La certezza della passata esistenza dell’Atlandide avrà una ripercussione nel campo del sapere. La narrazione di Schliemann apre nuovi orizzonti circa i primi passi dell’umanità e la fioritura d’una remota civiltà scomparsa, durata un periodo straordinariamente lungo, tanto da farsi iniziatrice d’una vera scienza sparsa pel mondo. Per quanto occulta essa è rivelata dalle opere d’arte, a chi le studia senza pastoie teoriche e compenetrato dello spirito ieratico di esse.
Di fronte alle opere preistoriche pochi non restano come gli analfabeti al cospetto delle lettere.

Già nella mia opera richiamai l’attenzione degli eruditi su d’una più giusta valutazione del periodo preistorico. Fui indotto nel mio studio dalla scoperta che feci della cifra - ancor oggi sacra - progenitrice di numeri, lettere, segni zodiacali, pittografie e geroglifici che affermai “posteriori alle lettere”, perchè gli archeologi moderni trovavano “documenti di scrittura lineare alfabetica nelle profondità neolitiche dell’Egitto, delle isole Mediterranee e da altre parti del globo”, ma nessuna traccia di geroglifici”. Gli uniti documenti di primigenie età provano che nel Mediterraneo dell’epoca Minoica e nell’America preistorica c’era la scrittura [In un tumulo preistorico venne rinvenuta una tavoletta , denominata di Grave-Creek (USA), luogo del ritrovamento, che evidenza come la scrittura americana preistorica sia più affine della cipriota alle scritture Etrusche e Fenicia].

Ora che le scoperte di Atlantide e le altre parti, hanno indietreggiato di molti millenni l’inizio del sapere e della civiltà; ora che abbiamo i documenti non posseduti dai nostri predecessori immediati, apparirà chiara l’esistenza di una scienza occultata per comandamento secolare.
Agli eruditi il compito di penetrare lo spirito delle allegorie che scotendo le intelligenze, promossero le più sublimi opere artistiche e letterarie. E dire che di queste, tutti intesero le esteriorità, pochi la profondità. Solo se compenetrati di simbolismo religiosi potrà vagliarsi il sapere antico e persuadersi che Scienza e Fede non sono cose irreconciliabili, ma luna fondamento dell’altra. Il simbolismo fu l’arte sovrana per conservare e celare il sapere. Non fu inganno! Il simbolo è espressione sintetica della realtà. Le masse primitive aveano bisogno di immagini improntate al mondo dei sensi per capire qualche cosa; il sapiente discese fono ad esse per sottrarle al baratro della natura inferiore e della negazione. Egli innalzò l’uomo inculcandogli il diritto di dirsi “ figlio del cielo, dell’aria, del sole”; gli adombrava così il concetto che la “Terra Madre” fu parte del Sole e Sole in origine, e che quindi gli essere nati di terra, di creta, di fango, furono rampolli, metamorfosi essenze del Sole, “gran fecondatore e riproduttore degli esseri”.
L’uomo ha in se, chiusa nella massa cerebrale viscida, raggomitolata come serpente (ser-pens = pens-ser) una scintilla di luce astrale. Di questa massa fa parte la glandola pineale “l’occhio divino che vede attraverso le muraglie”. Più di quella del sole la conoscenza , la scienza è “la vera luce che illumina il mondo”.

Oggi io non deploro di essermi occupato di troppe cose; studiandole per scoprire lo spirito dei creatori della mia arte, penetrai ciò che per gli errori altrui non mi era stato concesso; pubblicando il frutto delle mie ricerche fondate su documenti archeologici, mi lusingo di facilitare la via agli studiosi.

Vò solo augurare che questi studi, dalle tradizioni italiche, trovino dei cultori tra noi. Oggi una scuola straniera si appresta a dettarci ancora una volta il suo verbo circa la dibattuta questione etrusca e forse con quella tale “logica più evidente” farà venire i nostri aborigeni dal nord, mentre basterebbero i pochi caratteri della tavoletta preistorica di Grave-Creek, così affini ai caratteri etruschi per farci volgere lo sguardo verso l’Atlantide.

Gennaro D’Amato

Bogliasco, Aprile 1924

22 maggio 2020

AVM - Principio fondamentale originario delle arti umane



Non esiste un saggio che sia più ricco di analisi dell’antico simbolismo tradizionale. L’Autore vi ha posto grande saggezza e intuizione, associata a una profonda erudizione nelle Arti Umane. Scritto nel 1913, nonostante uno stile un po’ arcaico, mantiene inalterato il suo fascino e il suo valore, non essendo stato raggiunto, nella sua capacità di svelamento dei simboli, degli archetipi e del senso “nascondente” delle lingue umane, da nessuna pubblicazione successiva.
Pertanto è ancora oggi strumento assolutamente indispensabile per chi voglia capire le profonde trame che un Ente Superiore ha posto nella sua unica forma di linguaggio: il simbolismo.
Scrive l’Autore: «Sempre cercai di rendermi conto dello spirito della forma nelle immagini bizzarre, geroglifiche, geometriche dei primitivi, e a lungo andare, studiandole con interesse, mi persuasi che le apparenti stranezze avevano un significato e acquisivano ragion d’essere e seria spiegazione in un Principio Fondamentale, misteriosamente ricoperto d’un fitto velo simbolico fin dai tempi preistorici. Vedremo documenti e toccheremo con mano che vi è stata una vera e propria scienza in un periodo lontano, preistorico per noi, e che di là parte quel fondo di sapienza alla base della conoscenza umana».

Gennaro D'Amato (Napoli 1857 - Genova 1937): Saggista e pittore, si dedicò allo studio del Simbolismo e della Tradizione Primordiale. Pochi raggiunsero il suo livello di interpretazione simbolica e la sua capacità di comunicarne le profonde interrelazioni archetipiche attraverso la scrittura. Pubblicò una serie di saggi per l'editore Spiotti di Genova: AVM - Principio fondamentale originario delle arti umane, 1913; I documenti archeologici dell’Atlantide, 1924; L'inizio del sapere e della civiltà: l’Atlantide, 1925; Il processo all’Atlantide di Platone, 1930. Opere destinate a divenire pietre miliari nella letteratura esoterica del ‘900.

24 aprile 2020

Chi giudica il Papa



14 marzo 2020

Oremus




AVE, MARIA, GRATIA PLENA,
DOMINUS TECUM.
BENEDICTA TU IN MULIERIBUS,
ET BENEDICTUS FRUCTUS VENTRIS TUI, IESUS.
SANCTA MARIA, MATER DEI,
ORA PRO NOBIS PECCATORIBUS,
NUNC ET IN HORA MORTIS NOSTRAE.
AMEN.


14 febbraio 2020

Ebrei e musulmani non hanno lo stesso Dio dei Cristiani



Si è diffuso nel mondo cattolico l’errato concetto che ebrei e musulmani, essendo monoteisti, abbiano lo stesso Dio dei cristiani.
Con argomenti teologici, al lume della fede rivelata, l’Autore dimostra l’assoluta infondatezza di tale asserzione, poiché l’unico vero Dio è quello che si è manifestato e rivelato nella persona del Figlio, che col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio.
Pertanto, ebrei e musulmani, che non credono in Gesù Cristo, non hanno lo stesso Dio dei cristiani, benché siano monoteisti ed abbiano qualche conoscenza intorno alla divinità.


17 gennaio 2020

L'attualità di un'intervista a Monsignor Ducaud Bourget sulla Tradizione Cattolica




Monsignor François Ducaud Bourget, quando il 27 febbraio 1977 organizzò la presa della chiesa di Saint Nicolas du Chardonnet a Parigi per ottenere ai parigini un tempio (negato ostinatamente dal Cardinal Marty) nel quale potessero assistere alla Messa di sempre e pregare secondo le forme tradizionali della santa liturgia, era stato cappellano dell’Ordine di Malta e prelato d’onore di Pio XII. Partigiano decorato (si ricorda il suo contributo nel mettere in salvo molti ebrei perseguitati consentendo il loro passaggio in Spagna) e poeta laureato dell’Accademia di Francia, godeva di una reputazione ecclesiastica, civile e letteraria degna di grandi uomini francesi dei secoli passati. In un’intervista, nel 1976, un anno prima di quella presa eroica che fu un segnavia fondamentale nella lunga difesa della Tradizione cattolica in Francia e in Europa (la cui giustizia è stata implicitamente sancita dal Motu Proprio Summorum Pontificum), Monsignor Ducaud Bourget aveva assunto le difese di Monsignor Marcel Lefebvre colpito dalla sospensione a divinis comminatagli da Paolo VI per avere denunciato gli errori conciliari.
In un momento drammatico, il vecchio prelato francese espresse con estrema chiarezza e in poche battute la dottrina cattolica del primato e dell’infallibilità del Pontefice, l’idea che il Papa è in tutto sottoposto alla Tradizione della Chiesa, che costituisce un prius rispetto all’autorità infallibile di dichiararla e di definirla. Il Cattolicesimo non può perciò essere ridotto al “culto di un buddha vivente, né a papolatria”.

Monsignore, si è ancora cattolici quando si disobbedisce in modo così palese al Papa?
Naturalmente sì, poiché il cattolicesimo non è un feticismo, il cattolicesimo non è il culto di un buddha vivente, né è papolatria, per nulla! È chiaro che il Papa è il superiore, il vicario di Gesù Cristo, ma il suo compito è quello di conservare la Tradizione data dalla Chiesa, perché la Chiesa esisteva prima del Papa.

Chi è cattolico in questa vicenda, Monsignor Lefebvre o il Papa?
Senza alcun dubbio Monsignor Lefebvre.

Quindi il Papa non è cattolico?
Questo riguarda lui, spetta a lui scegliere, ma una cosa è certa: obbedendogli non si obbedisce a un cattolico. Un vero cattolico, un Papa cattolico, non può in coscienza, onestamente, interdire moralmente un sacerdote, un vescovo come Monsignor Lefebvre e dei giovani perfettamente onorabili.

Dunque in conclusione il Papa si comporta come se non fosse cattolico?
Esattamente, esattamente. Tutto qui.