NULLA VERITAS SINE TRADITIONE


7 gennaio 2017

Robespierre: difensore del popolo e della religione



"Dio Onnipotente, questa causa è la tua causa"
(7 giugno 1792)

A dispetto di quanti, soprattutto in ambienti pseudo-cattolici, esprimono sentenze preconfezionate su argomenti che nemmeno conoscono, vogliamo qui ricordare la figura di un grande personaggio, il quale condusse una vita irreprensibile, sacrificandola al servizio dei propri simili.
Robespierre studiò in un ambiente cattolico e iniziò la professione come avvocato del vescovo. I valori cristiani rimasero sempre il suo riferimento principale: l'amore per la giustizia, per i poveri, la fede in Dio, la credenza nell'immortalità dell'anima. I suoi nemici furono gli atei, i corrotti, coloro che ingannavano il popolo e lo opprimevano, il clero infedele e incredulo, i traditori della religione e del popolo. Quando i suoi nemici prevalsero, il popolo perse il suo difensore e la religione tornò in mano agli atei.

Maximilien Marie Isidore Robespierre nacque ad Arras, il 6 maggio 1758, da un ventiseienne avvocato, figlio di avvocato, e da Jacqueline Carrault, figlia di un birraio.
Maximilien ebbe due fratelli e due sorelle. Sopravvissero Charlotte (1760) e Augustin (1761). La madre morì quando Maximilien aveva sei anni. Il padre morì nel 1777 a Monaco.
A 7 anni Maximilien, rimasto orfano di madre e con un padre che scompare di scena per motivi sconosciuti, entrò nel collegio di Arras.
A 11 anni passò al collegio Louis-le-Grand di Parigi, una delle migliori scuole di Francia, con una borsa di studio della Chiesa. Il ragazzo era stato infatti notato dal vescovo di Arras.
Nel collegio si comportò bene. Tra il 1771 e il 1776, ebbe tre secondi premi e sei menzioni.
Nel 1775 fu scelto per leggere un messaggio a Luigi XVI, in occasione del suo passaggio nei pressi dell'istituto.
Nel 1781, a 23 anni, lasciò il collegio con la qualifica di avvocato. Il Louis-le-Grand volle premiarlo con 600 livres per la sua "buona condotta durata dodici anni e i successi conseguiti negli studi". Il premio fu il più alto ottenuto da un borsista dell'istituto.
Maximilien, ritornato ad Arras con la sorella Charlotte, venne ammesso a patrocinare presso il Consiglio dell'Artois.
Nel marzo 1782, il vescovo lo chiamò a succedere al decano del tribunale di Arras, come uno dei cinque giudici del tribunale vescovile.
Nel 1784, a 26 anni, partecipò ad una gara dell'Accademia di Metz con uno scritto su "Le pene infamanti - La corruzione del sangue", il concetto legale per cui parte della colpa di un criminale si estendeva alla sua famiglia. Ricevete il secondo premio.
Nel 1786, fu nominato direttore dell'Accademia di Arras, composta da una trentina di membri.
Nel 1788, si unì ai suoi colleghi del tribunale vescovile nella condanna della riforma giudiziaria introdotta dal governo.
All'inizio del 1789, affermò: "E' tempo che questa idea di Dio, sfruttata così per lungo tempo per assicurare ai capi degli imperi una potenza illimitata e mostruosa, serva infine a ricordare i diritti imprescrittibili degli uomini; è tempo di riconoscere che la stessa autorità divina ordina ai re di essere giusti e proibisce ai popoli di essere schiavi".
Nel marzo 1791, respinse l'attacco dell'ex gesuita Raynal, giudicando penose "le diatribe violente e talvolta indecenti" che questo polemista aveva pubblicato "non solo contro il clero, del quale faceva parte, ma contro la religione stessa".
Il 9 maggio 1791, presentando una petizione per il diritto di voto ai cittadini passivi, concluse l'arringa con la seguente frase: "Dio accoglie le preghiere di tutti".
Il 10 maggio, fece un intervento in favore della comunità religiosa "Sorelle di Santa Chiara" di Auxonne.
Il 29 novembre 1791, ebbe uno scontro al Club dei Giacobini con Palissot, che intendeva leggere un libello antireligioso, impedendoglielo.
Il 16 marzo 1792, in una riunione del Club, Guadet attaccò Robespierre per il suo pensiero religioso pieno di riferimenti alla Provvidenza e alla bontà celeste. Maximilien rispose che "pronunciare il nome della divinità non significa indurre i cittadini alla superstizione". "Sì, dice Robespierre, credo in Dio, è un sentimento che mi è necessario, ho bisogno di provare la sua presenza, di chiedere aiuto, l'aiuto interiore dell'Eterno. Senza il suo calore e la speranza infinita data dalla fede, non avrei potuto sopportare fatiche che sono al di sopra della forza umana".
Il 9 novembre 1792 il marchese di Condorcet, sul giornale "Chronique de Paris", di tendenza girondina, scrisse che Robespierre era il "capo di una setta", un "predicatore che sale sui banchi e parla di Dio e della Provvidenza". E concluse: "Robespierre è un prete e non sarà mai altro che un prete".
Nel novembre 1792, Cambon propose alla Convenzione di eliminare le sovvenzioni agli ecclesiastici. Maximilien si oppose. "Bisogna distinguere tra il clero e l'idea di religione", disse. "Nessuna potenza ha il diritto di sopprimere il culto costituito, sino a che il popolo non se ne sia esso stesso disingannato. Occorre rispettare la libertà di coscienza. Nonostante tutto, i preti sono i testimoni dei dogmi incisi negli animi. Se la Dichiarazione dei diritti dell'uomo fosse fatta a pezzi dalla tirannia, la ritroveremmo ancora contenuta per l'essenziale nella fede in Dio. Dio è colui che crea tutti gli uomini per l'uguaglianza e la felicità, colui che protegge l'oppresso, colui il cui culto si identifica con il culto della giustizia".
Il 5 dicembre, Robespierre fece distruggere il busto del filosofo materialista Helvetius, che era stato messo nella sala delle riunioni del Club dei Giacobini.
Il 20 dicembre 1792, Maximilien riuscì a far respingere il "piano di educazione" presentato da Romme, su ispirazione di Condorcet, in quanto totalmente sprovvisto di "concezioni morali e filosofiche".
Il 21 novembre 1793 (1 frimaio), Maximilien dichiara: "L'ateismo è aristocratico. La fede in Dio è popolare. Con il pretesto di distruggere la superstizione alcuni voglio fare dell'ateismo una specie di religione. Bisogna opporsi a coloro che pretendono di turbare la libertà dei culti in nome della libertà". Per poi concludere: "Proscrivere il culto? La Convenzione non ha mai fatto questo passo temerario né mai lo farà".
Il 28 novembre (8 frimaio) ritorna sull'argomento al Club dei Giacobini, opponendosi a quanti vorrebbero far credere che "un popolo religioso non può essere repubblicano".
Il 6 dicembre (16 frimaio), Robespierre fa votare alla Convenzione un decreto: "La Convenzione Nazionale proibisce qualsiasi violenza o minaccia contraria alla libertà dei culti".
Il 16 dicembre (26 frimaio) Maximilien respinge la proposta di Bourdon de l'Oise, il quale voleva espellere dal Club dei Giacobini tutti i preti.
Robespierre condannò l'ateismo in quanto immorale e pertanto aristocratico, legato ad un sistema di cospirazione contro la Repubblica. Scrisse, infatti: "L'idea dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima è un continuo richiamo alla giustizia: essa è quindi sociale e repubblicana".
Venne fissata la prima festa in onore dell'Essere Supremo per l'8 giugno 1794 (20 pratile), domenica di Pentecoste. Una coincidenza?
Robespierre, presidente della Convenzione, tenne un discorso e diede fuoco alla statua dell'ateismo. Poi iniziò la processione dalle Tuileries al Campo di Marte. Fu la sua apoteosi e l'inizio della sua rovina. Molti deputati lo insultarono e lo minacciarono nel corso della cerimonia. Il 27 luglio (9 termidoro), Robespierre venne messo in stato d'accusa, insieme a Saint-Just, Couthon e agli altri fedelissimi, poi sopraffatti dalle truppe messe insieme dai deputati nemici. Il giorno seguente, depose il capo sulla ghigliottina.